Veronesi: mi sono ispirato a Bambini nel tempo di McEwan
Sandro Veronesi ha ragione ad andar fiero del suo ultimo lavoro: Il colibrì è un exploit ragguardevole anche in un cursus honorum ricco com’è quello dello scrittore toscano...
«Il colibrì è frutto di uno sforzo che è durato quasi cinque anni». Sandro Veronesi ha ragione ad andar fiero del suo ultimo lavoro: Il colibrì è un exploit ragguardevole anche in un cursus honorum ricco com’è quello dello scrittore toscano, Premio Strega 2006 con il suo Caos calmo. «Per la prima volta sono riuscito a escludermi completamente. Non c’è nulla di mio nel protagonista, che quindi è il più libero di tutti i miei personaggi». Il colibrì racconta la storia di un uomo, Marco Carrera, e dei suoi affanni per mantenere immobile la sua vita. Già: proprio come quell’uccellino tropicale riesce a stare immobile in volo grazie alla più frenetica attività delle ali, Carrera punta a eludere ogni cambiamento attraverso tutto ciò che fa. Ma il mutamento – lo sappiamo noi e lo sa bene Veronesi - è inarrestabile, pure se ogni tanto riusciamo a non percepirne l’imminenza. «è come per la faglia di San Andrea: tutti sanno che presto o tardi la California sprofonderà nell’oceano, ma sembrano essersene dimenticati». Una storia colma di umanissimo dolore che Veronesi rende indimenticabile grazie a una struttura sapientemente organizzata, e al suo talento per i dialoghi, le psicologie e i caratteri. Il colibrì è già un classico.
C’è – in questo romanzo forse più che in altri – l’architetto, dietro lo scrittore: la trama de Il colibrì è un affresco ampio e articolato in cui ogni parte si lega con le altre, in un disegno ambizioso. Raccontaci com’è nata l’idea del libro, e come è cresciuta la storia.
Non saprei dire qual è stata l'idea generatrice del libro, tanto è vero che la struttura è molto strana, nessuno scrittore e nessun architetto si sognerebbe di insegnarla ai suoi alunni. Dovevo raccontare una storia lunga, piena di dolore e sapevo che se l’avessi racconta in modo lineare sarei arrivato a un punto insostenibile. Non per me o per il protagonista: per il lettore! Allora ho pensato che il tempo dovesse essere smembrato. Mi sono ispirato a uno dei più grandi romanzi che siano stati scritti nel Novecento: Bambini nel tempo. Ian McEwan, nella sua opera, ci fa capire come, disgregando la cronologia del tempo, sia possibile superare anche il dolore più indicibile. Ho deciso di scrivere i capitoli a caso, senza seguire un ordine. Non c’è stato montaggio, quindi, ma il libro ha una grande armonia, maggiore di ogni architettura complessa studiata a tavolino.
Mentre leggevo, pensavo che un altro titolo possibile per il tuo romanzo avrebbe potuto essere “Il filo”. Sei d’accordo?
Sì, si potrebbe chiamare anche Il filo perché Il filo della vita del protagonista, Marco Carrera, viene strattonato molte volte dal destino. Alla fine, però, arriverà da qualche parte… come Teseo, guidato fuori dal labirinto. Il filo è anche il protagonista della disfunzionalità che affligge la figlia di Carrera, la quale vive credendo di avere una cordicella attaccata dietro la schiena, una corda che la collega al muro più vicino. Nessuno può passarle alle spalle, altrimenti la bimba deve andare a sbrogliarsi con una serie di ghirigori e arabeschi. Il personaggio nel corso del romanzo evolve, ma i motivi di questo rito sono commoventi e spiegano le sue difficoltà nello stare al mondo. È il personaggio che più di tutti appare appeso a un filo.
Per la struttura de Il colibrì mi sono ispirato a uno dei più grandi romanzi che siano stati scritti nel Novecento: Bambini nel tempo di Ian McEwan.
Il colibrì trova la sua peculiarità nel modo in cui attraverso il battito d’ali più frenetico raggiunge la stasi. In che modo Marco Carrera è un colibrì?
Marco Carrera è uno di quegli uomini che si dannano per mantenere lo status quo nella propria vita. È ostile a tutti i cambiamenti. Impiega tutta la forza che possiede per opporre una massa critica di fronte al cambiamento e rimanere immobile con i suoi cari e la sua famiglia. Naturalmente è una battaglia persa, però è un buon nido dal quale far nascere l'uomo nuovo che verrà… Io sono un figlio del XX secolo e sono uno che incoraggia al cambiamento. Ho fiducia nel cambiamento. Adesso che siamo già un pezzo avanti nel XXI secolo, però, mi è capitato di mettermi a pensare a quanti cambiamenti sono sopravvenuti nella mia vita e nel mondo, e la maggior parte di essi è stata in peggio. Questo, in qualche modo, dà ragione a Marco.
Hai citato Gadda, a margine della tua partecipazione a un Festival letterario dedicato a John Fante: “Io è il più sporco dei pronomi”. Ma oggi – a dire il vero – il pronome più in affanno sembra essere “noi”. Cosa ci è successo, Sandro?
Credo che oggi ci sia divisione tra gli uomini anche se in realtà siamo tutti uguali. Usiamo il “noi” solo per dire che siamo in guerra. “Noi siamo in guerra”, e la combattiamo per le strade, agli incroci, è una lotta continua, quella rabbia che spesso viene scambiata per una forma di comunicazione. Le ragioni sono da ricercare nel disperato bisogno di comunicare, secondo me: ma lo stiamo facendo nel modo sbagliato. In queste condizioni diventa difficile costruire qualcosa di plurale. C'è un crepaccio che ci separa dalle persone con cui dobbiamo convivere.
A volte anche sul frontespizio di un vecchio “Urania” si può trovare la chiave per capire qualcosa di sé, e di quelli che abbiamo amato… qual è il romanzo che ha annunciato al mondo la tua nascita?
Quando ero bambino, ogni 15 giorni veniva pubblicato un romanzo della collana Urania. Praticamente era una testata giornalistica. Tra quei testi c’era un romanzo di Philip Dick intitolato Occhio nel cielo. Mentre lottavo fra la vita e la morte per venire al mondo – avevo due giri di cordone ombelicale attorno al collo –mio padre stava leggendo quel libro. A quei tempi il padre non entrava in Sala parto, così lui si trovava in corsia, all’ospedale di Firenze, a fumare Muratti Ambassador leggendo quel romanzo. Ma l’agitazione era troppa, per concentrarsi sulla lettura, così prese una matita e scrisse delle frasi a lapis sul libro: “signore e signori, sto per presentarvi un nuovo amico, Alessandro… o forse Giovanna”, non sapevano nemmeno il mio sesso. Poi quando arrivò l’infermiera, ed ebbe la buona notizia, proseguì nella scrittura “… signore e signori vi presento un nuovo amico: Alessandro! È nato invece che morire”. Quando mio padre morì, recuperai le sue cose e quel libro mi capitò tra le mani. Così lessi quel che aveva scritto…
Ho avuto un solo agente nella mia carriera: Perroni. Dopo di lui, nessuno.
Prato – oltre che centro manifatturiero noto in tutta Italia – è una discreta fucina di Premi Strega, avendo negli ultimi anni dato almeno due contributi significativi alla storia del Premio: a proposito, hai qualche aneddoto da raccontare su te e Edoardo Nesi?
Ho assistito, e in parte contribuito, alla nascita del Nesi scrittore. Ci trovavamo spesso al circolo del tennis dove entrambi facevamo la sauna. Non avevo ancora pubblicato nulla, all’epoca, ma lui sapeva che mi interessavo di letteratura, così mi chiese cosa potesse leggere di entusiasmante. Gli consigliai Sotto il vulcano di Malcolm Lowry. Da quel momento l'ho visto cominciare a trasformare in letteratura le idee. Tutte le cose significative nelle quali si imbatteva diventavano storie: questo d’altra parte è quel che fanno gli scrittori. Era chiaro che avesse talento e la prima volta che mise qualcosa per iscritto andava già bene. Io non feci che passare il manoscritto di Fughe da fermo al mio agente: Sergio Claudio Perroni. Alla Bompiani lo presero subito perché era un libro molto maturo. Erano passati 8 o 9 anni da quel consiglio in sauna.
Già, Perroni: fra le eco, i rimandi e gli omaggi che si possono cogliere nel tuo romanzo-mondo, ce n’è uno al tuo agente (e amico) che ci ha particolarmente colpiti...
Ho avuto un solo agente nella mia carriera: Perroni. Dopo di lui, nessuno. Ha iniziato a scrivere in tarda età e non avevo dubbi sul suo talento. Entro a volte nel tuo sonno è un libro stupendo, è una raccolta di prose compatte che assomigliano a degli elementi di costruzione perché prendono mezza pagina e non ci sono a capo né virgole. Ricordano le prose poetiche di Francis Ponge e Perroni è un maestro nel trovare delle immagini per metaforizzare i sentimenti. Ne Il colibrì ho inserito un suo racconto. Avevo pensato di metterlo solo parzialmente, perché è un po’ lungo, ma poi ho cambiato idea e l’ho lasciato intero. Perroni merita riconoscenza.
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Sandro Veronesi ha compiuto i suoi studi nel campo dell'architettura, optando definitivamente per la scrittura a 29 anni. Risale infatti al 1988 il suo primo libro Per dove parte questo treno allegro. Con Gli sfiorati Veronesi inizia a rivelarsi come uno scrittore fantasioso e raffinato. Nel 1992 esce Cronache italiane, raccolta di articoli apparsi per la maggior parte sul supplemento domenicale de il Manifesto negli anni tra il 1988 e il 1991. Dopo lo studio sulla pena di morte nel mondo (Occhio per occhio), Veronesi scrive Venite, venite B 52 (vincitore del Premio Fiesole nel 1996), con cui si allontana fatalmente dalla narrativa della tradizione italiana, avvicinandosi a certi autori americani della cultura psichedelica, come Thomas Pynchon o Tom Robbins e ponendosi come figura atipica della nostra narrativa. La forza del passato (2000) vince il premio Viareggio e premio Campiello (da cui è poi tratto l'omonimo film di Piergiorgio Gay) e Caos calmo (2005) il premio Strega, poi film nel 2007 diretto da Antonello Grimaldi ed interpretato da Nanni Moretti. Il film è stato in gara al Festival di Berlino 2008. Del 2010 il romanzo XY edito da Fandango, vincitore del Premio Flaiano 2011 e del Premio Superflaiano 2011. Nel 2011 sempre per Fandango Libri è uscita la raccolta di racconti Baci Scagliati Altrove. Nel 2012 Fandango ripubblica Gli sfiorati, "Un omaggio a Roma" come lo stesso autore definisce il romanzo da cui è tratto il film omonimo di Matteo Rovere. L'anno successivo esce per Bompiani Viaggi e viaggetti. Finché il tuo cuore non è contento. Del 2014 il romanzo Terre rare (Bompiani), vincitore del Premio Bagutta 2015, in cui ritorna Pietro Paladini, già protagonista di Caos Calmo; del 2015 Non dirlo. Il vangelo di Marco (Bompiani); del 2016 Un Dio ti guarda (La Nave di Teseo), del 2018 Cani d'estate (La Nave di Teseo), del 2019 Il colibrì (La Nave di Teseo). Ha collaborato con numerosi quotidiani e quasi tutte le riviste letterarie.