Michela Marzano: «Chi siamo quando interi pezzi della nostra vita scivolano via?»
Affronta temi importanti “Idda”, l’ultimo romanzo di Michela Marzano. Cosa resta di una persona quando non riesce più a riconoscersi o a riconoscere le persone care? La filosofa, accademica e scrittrice expat in Francia è venuta a spiegarcelo. Curiosi di conoscere la risposta?
![Libro Idda Michela Marzano](https://img.ibs.it/images/9788806239916_0_240_0_50.jpg)
Idda
Michela Marzano
Michela Marzano non è sicuramente tipa da tirarsi indietro di fronte alle sfide. Studentessa e dottorata alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Marzano è professoressa di Filosofia morale all’Università Paris V, ha diretto il dipartimento di Scienze Sociali alla Sorbona ed è stata deputata tra le file del Partito Democratico tra il 2013 e il 2016. Filosofa, saggista e scrittrice di successo, a ogni libro Marzano rinnova il patto tacito che ha sottoscritto coi suoi lettori, mettendo a nudo coraggiosamente sé stessa e le sue esperienze – anche le più difficili – attraverso la parola scritta.
C’era quindi di che essere un po’ intimiditi all’idea di incontrarla qui in IBS.IT per parlare con lei del suo ultimo “Idda”. Un romanzo intenso, a tratti duro, capace di misurarsi con temi come l’identità, la memoria, la malattia. Ma “Idda” è soprattutto una storia: la storia di due donne costrette a misurarsi con la perdita involontaria dei ricordi, in un caso, e con un passato dolorosamente rimosso, nell’altro. Una storia che abbiamo voluto rileggere insieme all’autrice, senza tralasciare riflessioni sulla politica attuale, sulla filosofia o sul linguaggio, ma cercando anche di saperne di più sulla Michela scrittrice e lettrice. Il risultato? Un ritratto sfaccettato. Da scoprire fino in fondo.
Parlaci del tuo ultimo libro, Michela: che storia racconta?
“Idda” è la storia di due donne: Alessandra, italiana di origini salentine che si trasferisce in Francia per potersi chiudere dietro un pezzo di passato, e Annie, la mamma del suo compagno Pierre, un'anziana signora di 85 anni che ha cominciato a perdere la memoria.
Ricostruendo e raccontando la storia di Annie, Alessandra riesce pian piano non solo a recuperare il passato della propria suocera, ma anche e soprattutto a fare i conti con il proprio, trovando così anche la spinta a tornare in Salento, là dove tutto era cominciato.
Il tuo romanzo parte da una domanda: cosa saremmo senza il nostro passato? Cosa ti ha indotto a porti la questione in questi termini?
“Idda” nasce in realtà da una serie di interrogativi: chi siamo quando interi pezzi della nostra storia scivolano via? Quando non riusciamo più a riconoscerci o a riconoscere le persone care? Domande che ho cominciato a pormi qualche anno fa, dopo che Renée, la mamma di mio marito, si è ammalata di Alzheimer, e dopo aver parlato in Università con un collega la cui moglie soffriva della stessa malattia. Quando gli chiesi se la moglie lo riconosceva ancora mi colpì molto la sua risposta. Mi disse: “Michela, il problema non è se lei riesce ancora a riconoscere me. Il problema è per quanto ancora io riuscirò a riconoscere lei”
Un collega mi confessò: ‘Michela, il problema non è se lei riesce ancora a riconoscere me. Il problema è quanto ancora io riuscirò a riconoscere lei.’
Per Alessandra la malattia di Annie è come un enzima che fa precipitare diversi eventi. Anche nella sua relazione con Pierre.
Per Alessandra la malattia di Annie è un vero e proprio evento. All’inizio lei si avvicina a questa donna un po’ per obbligo, un po’ per disperazione, un po’ perché non se la sente di lasciare solo il proprio compagno. A un certo punto, però, si rende conto che frugando tra le sue cose riesce a conoscere meglio anche Pierre. Ricostruendo la storia di Annie, infatti, Alessandra riesce a vedere sotto una luce nuova non solo sé stessa e il suo compagno, ma soprattutto il rapporto che avevano i suoi genitori poco prima dell’incidente della madre.
Potremmo definire “Idda” come un romanzo di autofiction?
Qualcuno potrebbe pensarlo, ma in realtà non lo è. È vero che il punto di partenza è l’esperienza che ho vissuto, è Renée, la persona cui dedico il libro, ma per il resto la storia di “Idda” è una storia di fiction. Alessandra ha poco in comune con me, nonostante anche io sia italiana e abbia lasciato l’Italia. A differenza di Alessandra, io non ho mai voluto chiudere a chiave il mio passato e, arrivata in Francia, ho iniziato una lunga psicanalisi proprio per lavorarci su.
In “Idda” c’è molta invenzione e molto studio sugli anni quaranta, cinquanta e sessanta di Parigi. Sono andata a ricostruire momenti di quel periodo e di quella Parigi che non conoscevo, mi sono immersa nel jazz, ho visitato i locali dell’epoca: è stata una vera e propria scoperta anche per me.
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Michela Marzano
La componente linguistica è molto importante nella riscoperta del passato da parte di Alessandra. Che tipo di rapporto credi si possa individuare tra la lingua e la propria storia?
Il percorso di psicanalisi in francese mi è servito per andare a visitare episodi del passato talmente dolorosi da aver bisogno di nominarli attraverso un’altra lingua. In seguito, proprio grazie a questo passaggio con il francese, sono potuta tornare alla mia madrelingua ed è stato solo allora che ho potuto veramente chiudere tante porte. Mutatis mutandis, è la stessa cosa che succede ad Alessandra. A un certo punto è proprio il rapporto con il dialetto della propria infanzia che la costringe a fare i conti con il passato. È grazie all'incontro con Annie e con la sua storia che un giorno, mentre sta facendo lezione e sta spiegando la forma della pianta e delle foglie della vite, le succede di dire la parola “uva” non in francese, ma direttamente in dialetto. Ua sarà la prima di tutta una serie di parole dialettali che le torneranno in mente. Si ricorderà di essere stata la puricina della mamma, la calezza del papà e a quel punto sarà proprio la lingua, il dialetto, a costringerla a tornare in Salento e a fare i conti col passato.
Che cosa significa per te oggi fare filosofia?
Significa partire dal reale, dal vissuto, per poter incarnare il proprio pensiero ed evitare che sia troppo distante dalle preoccupazioni delle persone. Ma fare filosofia significa anche dare strumenti logico-argomentativi per costruire uno spirito critico verso ciò che ci viene detto, insegnato, comunicato. Filosofia è riflettere e ragionare con la propria testa per potersi costruire come persona adulta e sapere verso dove si vuole andare. La filosofia ci dà una forma mentis, ci permette di porre le buone domande. Ricordiamoci come faceva Socrate con i propri allievi: camminando, ponendo delle domande e ascoltando le loro risposte, permetteva loro di ragionare. È la dialogicità nel fare la filosofia che ci consente di costruire insieme un futuro diverso.
Filosofia è riflettere e ragionare con la propria testa per potersi costruire come persona adulta e sapere verso dove si vuole andare.
Dalla filosofia passiamo alla politica. Negli ultimi tempi sembra di aver fatto un passo indietro, verso realtà che credevamo di avere archiviato. Cos’è successo?
La situazione politica non è complicata solo in Italia, lo è anche in Francia, in Europa, nei paesi occidentali. Per troppo tempo le classi politiche e dirigenti hanno fatto promesse sapendo benissimo che non sarebbero state realizzate: ciò ha suscitato distanza, rabbia e volontà di vendicarsi nelle persone, che non si sono sentite ascoltate. Il problema è che di fronte a queste menzogne, alla rabbia che è aumentata, riesce a farsi strada una forma di populismo che strumentalizza la collera e la paura senza però dare delle risposte costruttive, che tengano sempre presenti i limiti del reale.
Ci lasci qualche consiglio di lettura?
C’è una scrittrice, forse non molto conosciuta in Italia, che è per me un monumento della letteratura, Joan Didion, una grandissima autrice americana. Utilizza le parole centellinandole: tutto quello che c’è nelle sue pagine è essenziale. E quando si finisce di leggere un suo libro, se ne esce con la voglia di ricominciarlo subito da capo. Una cosa rara.
Per concludere, raccontaci qualcosa delle abitudini della Michela scrittrice.
Spesso, se mi viene un’idea o qualcosa suscita la mia curiosità, prendo un appunto al volo indipendentemente dal luogo in cui sono. Poi c’è tutta una fase più “rigorosa”: passo ore e ore al computer, scrivo, riscrivo, cancello, stampo, correggo di nuovo a mano. Dietro ogni mio libro c’è tutto un lavoro di scrittura e riscrittura che probabilmente però non servirebbe se non ci fossero anche quegli appunti presi ovunque, in qualunque momento. Anche in piena notte.
Michela Marzano vive a Parigi dal 1999, dove è arrivata dopo un dottorato di ricerca in Filosofia alla Normale di Pisa con Remo Bodei. A 36 anni ha ottenuto l'abilitazione come professoressa universitaria, e attualmente è direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali (SHS - Sorbona) e professore ordinario di filosofia morale presso l'università Paris Descartes. Fra gli ambiti di ricerca di cui Marzano si occupa o si è occupata, ricordiamo quelli del corpo e del suo statuto etico, l'etica sessuale e l'etica della scienza medica, la filosofia morale specialmente in relazione alle sue implicazioni teoriche nelle norme di comportamento. Fra le sue pubblicazioni in italiano ricordiamo: Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri (trad. di Francesca Mazzurana, 2012), L'amore è tutto: è tutto ciò che so dell'amore (UTET 2013), Il diritto di essere io (Laterza, 2014), Non seguire il mondo come va. Rabbia, coraggio, speranza e altre emozioni politiche (con Giovanna Casadio, UTET, 2015), Papà mamma e gender (UTET 2015), Le virtù cardinali (con Remo Bodei e Giulio Giorello, Laterza 2017). Nel 2018 ha pubblicato con Einaudi un romanzo, Le fedeltà invisibili.