Intervista a Gabriella La Rovere
Mi dispiace, suo figlio è autistico è una richiesta d’aiuto, per dare voce e visibilità a una situazione clinica e familiare molto difficile, che possa scuotere le coscienze e arrivare fino alle istituzioni.
Gabriella La Rovere esercita la professione di medico fino al momento in cui a sua figlia Benedetta viene diagnosticata una rara forma di autismo secondario. Gabriella non indugia e decide di dedicarsi anima e corpo a una sola paziente: sua figlia. Mi dispiace, suo figlio è autistico raccoglie molti articoli pubblicati sul sito “Per noi autistici” e racchiude tra le pagine tutte le speranze e le denunce di una madre determinata. Perché ancora oggi la situazione delle persone autistiche, e dei familiari che le assistono, non è facile e non è possibile lasciarle sole. Necessitano di un aiuto costante, non solo di assistenza fisica, ma di qualcuno che li aiuti a interpretare le informazioni circostanti così che possano comprendere il mondo in cui vivono.
«La società si dovrebbe fermare e chiedere se non è il caso di guardare con occhi diversi queste persone. Non dicono cose fuori dal mondo e probabilmente vedono quello che noi ancora non riusciamo a vedere. Magari siamo solo troppo presi per vederle ma dobbiamo avere l’umiltà di non sentirci superiori».
Mi dispiace, suo figlio è autistico è una richiesta d’aiuto, per dare voce e visibilità a una situazione clinica e familiare molto difficile, che possa scuotere le coscienze e arrivare fino alle istituzioni. Considerare le persone autistiche come cittadini a pieno titolo della nostra società è un obiettivo di sviluppo culturale e umano per tutti.
Cosa significa, nel quotidiano, relazionarsi con Benedetta?
La prima cosa che ho imparato è godere delle piccole cose, perché essere genitori di un ragazzo o di una ragazza autistica vuol dire avere la vita completamente stravolta. Hanno ritmi e abitudini unici. Andare al cinema o fuori a cena è impossibile e quando succede sembriamo bambini nel paese dei balocchi. Nel corso degli anni ho imparato anche a essere paziente e tollerante per rapportarmi con un modo diverso di pensare e di vedere la realtà.
Nel suo libro racconta di come oltre il confronto quotidiano, con la condizione peculiare degli autistici, ci sia bisogno di misurarsi con inadeguatezze e ipocrisie che il sistema propone a vari livelli. Nel mondo della scuola per esempio…
Al di là delle eccellenze, di cui disponiamo in Italia, siamo ancora molto lontani dall'inclusione scolastica. Grazie a molte campagne di sensibilizzazione e pubblicazioni siamo riusciti a garantire a questi ragazzi l’assistenza necessaria fino ai 18 anni. Ma quello che dobbiamo far capire adesso è che dopo la maggior età questi ragazzi non guariscono, diventano adulti e sono ancora autistici. Hanno ancora bisogno di essere accompagnati e sostenuti. Se seguiti nel modo giusto possono evolvere e migliorare.
C'è una grande carenza culturale nel modo in cui ci si relaziona con le persone neurodiverse.
Le neuro diversità e l'autismo includono una serie di attività che ai normodotati sfuggono, per esempio Benedetta ha un senso del ritmo molto pronunciato.
Benedetta è bravissima nella batteria e nelle percussioni cubane. Ma questo non deve stupire perché ognuno di noi ha un talento. Dobbiamo cominciare a pensare che chi ha una neurodiversità è una persona come le altre, non è un animale o un vegetale! hanno dei talenti come tutti noi. Sta a noi genitori aiutarli a individuare la propria vocazione, come fanno tutti con un figlio neurotipico. Porto Benedetta due volte alla settimana a fare lezione di batteria e di percussioni cubane, non faccio niente di diverso da un altro genitore.
Un tema particolarmente delicato che lei tratta nel corso delle pagine del libro è quello relativo al “dopo”, quando le famiglie vengono a mancare. Cosa succede nella vita dei ragazzi delle persone affette da una neurodiversità?
Ognuno di noi spera che il proprio figlio possa continuare a fare quello che ha fatto quando stava con i genitori. Si cerca di poter prolungare la routine per di farlo vivere nella casa dove è sempre vissuto, magari pagando una persona che lo possa assistere nelle attività che gradisce. Ma quando non ci saremo più non è detto che questo accada, è una delle mie più grandi angosce, considerando che Benedetta non ha né fratelli né sorelle. Capita spesso che queste persone finiscano all'interno delle cosiddette “residenze protette”, dove la loro vita scorre senza significato. Pensare che mia figlia possa stare seduta su una sedia ad aspettare il nuovo giorno mi dispera. In Italia manca ancora un discorso sul dopo.
Per approfondire
Gabriella La Rovere è giornalista, medico, autrice di teatro e scrittrice. Fino al 2019 è stata responsabile del Centro di documentazione delle buone prassi in ambito familiare e sociale con sede a Todi e animatrice del sito "Per noi autistici". Tra le sue opere: "L' orologio di Benedetta" (Ugo Mursia Editore, 2014), "Hello Harry! Hi Benny. La corrispondenza tra una ragazza autistica e il suo amico immaginario come nuovo metodo educativo" (Ugo Mursia Editore, 2016), "Alice e altre storie" (Augh!, 2018), "Mi dispiace, suo figlio è autistico" (EGA-Edizioni Gruppo Abele, 2019).