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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2017
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Basta aver letto qualche opera della maturità di Sebald (‘Gli anelli di Saturno’ e ‘Austerlitz’, nel mio caso) per riconoscere in questi tre poemi dell’esordio tracce evidenti dell’autore amato. Il verso libero delinea viaggi ed esplorazioni, si sofferma su opere d’arte e paesaggi, inscrive la finitezza umana nell’azione inesorabile della Natura che tutto consuma, mescola tragedie storiche a elementi autobiografici, indulge a uno sguardo malinconico che conosce la perdita, ma non rinuncia a cercare tracce del bello. Mancano le immagini, che saranno complemento e tratto distintivo dei lavori successivi e qui sono lasciate all’elaborazione visiva del lettore, adeguatamente stimolata. La scelta della forma poema chiede attenzione e tempo adeguato per essere apprezzata a pieno. E certo risulta utile un paratesto che riporti le biografie di Grunewald e Steller, nonché dello stesso Sebald.
Sebald è un esploratore di universi. Libro questo carico di immagini e tuttavia limpidissimo.
Se uno è in crisi di astinenza da immagini fantasmagoriche di viaggi mentali e fisici grondanti una buona dose di cultura e una straordinaria capacità visionaria, si prende questa opera prima di Sebald e che la forza sia con lui. Sono versi liberi che, probabilmente, per chi legge in lingua originale hanno un andamento ancora più lirico. Sebald non inventa nulla: dà forma di poema a fatti già noti. Così come Steller raccontò l’epopea di Bering, poi morto e inumato nella stessa inospitale terra che aveva contribuito a scoprire, altrettanto Sebald narra la tragica fine di Steller, ammalatosi proprio alla vigilia del ritorno in patria dopo sei anni trascorsi a descrivere specie animali e vegetali. Da leggere.
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Nel 1988 un germanista ancora poco noto, che si chiamava W. G. Sebald (1944-2001) e che lavorava presso l'Università della West-Anglia a Norwich pubblicò un poemetto in versi liberi intitolato Nach der Natur (Secondo natura). Il sottotitolo, Un poema degli elementi, chiarisce l'accezione modale di "secondo", anche se la visione di un'umanità corrosa dall'ansia di distruggere avrebbe potuto riflettersi altrettanto motivatamente in un titolo come "Dopo la natura".
Sebald sarebbe divenuto, ben presto, uno degli autori più interessanti della letteratura tedesca contemporanea, invitando la Germania a ragionare sul proprio passato e la comunità internazionale sul non proprio scontato rapporto tra vittime e carnefici della seconda guerra mondiale, se si tiene conto di quanti civili persero la vita nelle loro case e nelle strade a causa delle incursioni aeree dei bombardieri alleati.
Quest'opera, come sempre magistralmente tradotta da Ada Vigliani, è ora comparsa in Italia per i tipi di Adelphi, rivelando le modalità di alcuni esercizi ecfrastici che si ritrovano in seguito nelle opere in prosa di Sebald e che insieme con l'inconfondibile attitudine a integrare fotografie d'archivio nel contesto della narrazione, ne rappresentano l'impronta originalissima.
Costruito come un trittico che evidentemente riproduce nella forma l'altare di Isenheim di Matthias Grünewald, Sebald ripercorre in questo lavoro poetico, dal XVI attraverso il XVIII fino al XX, tre secoli di storia culturale tedesca. Nel primo dei secoli considerati visse il grande pittore di Würzburg, Grünewald (c. 1475-1528), nel successivo Georg Wilhelm Steller (1709-1746) intraprese la seconda spedizione a Kamchatka insieme con il comandante di marina Vitus Bering, nell'ultimo secolo si consumò la catastrofe della seconda guerra mondiale. Quest'ultimo avvenimento offre a Sebald l'occasione per ricordare i travagli della sua famiglia esposta al fuoco nemico, ma soprattutto per collegare con un arco tematico il primo medaglione poetico, intitolato Come la neve sulle Alpi, al terzo, La notte oscura prende il largo, passando per quello chiamato
E se trovassi dimora sul più lontano dei mari. Gli atti di persecuzione contro gli ebrei, infatti, già cospicui nel medioevo e dunque ben noti anche a Grünewald, si sviluppano lungo i secoli e raggiungono l'apice nella contemporaneità, mescolandosi nel tempo alle sofferenze dei popoli colonizzati nelle terre di conquista, mentre gli elementi dell'aria (pensando all'eclissi solare del 1502), dell'acqua e del fuoco riflettono la hybris umana e talora, come nel caso del fatale naufragio di Bering, si ribellano a essa.
Raramente come in questo frammento di carattere autobiografico si trova in altre opere di Sebald, nel frattempo quasi tutte pubblicate da Adelphi (Austerlitz, Vertigini, Storia naturale della distruzione, Il passeggiatore solitario e Gli emigrati), una descrizione così minuziosa del suo coinvolgimento nei fatti bellici, anche perché come nato nel 1944, egli racconta di non aver potuto far altro che affidarsi al ricordo dei parenti e alle vaghe intuizioni di un passato orribile.
"D'altra parte il cervello / lavora inesausto su tracce, ancorché labili, di auto-organizzazione, / e talvolta ne risulta / un ordine, a tratti bello / e rappacificante, ma anche più crudele / del tempo passato, il tempo dell'ignoranza". Questo passo costituisce probabilmente, nella terza parte del trittico, il nucleo stesso del pensiero-guida della sua opera poetica, che non si limita a tratteggiare con la vividezza dei colori a olio le visioni apocalittiche delle opere pittoriche di Grünewald, le perigliose esperienze di Steller e di Bering nel Pacifico durante la Grande spedizione nordica (1733-1743) e la catastrofe della guerra, ma si concentra in particolar modo sulle funzioni cerebrali nel pianificare la distruzione della natura. Infatti, quanto più l'individuo cerca di riorganizzare la natura con la supposta intenzione di ristabilire un ordine delle cose, tanto più inevitabile diventa la lotta tra razionalità e irrazionalità. L'auspicio di Sebald, qui come in altre sue opere, va nella direzione di una rivalsa della natura sull'essere umano, una volta che questi abbia fatto tabula rasa dei segni più tangibili della sua superiorità intellettuale; infatti, in Storia naturale della distruzione, documentando con parole e con immagini fotografiche lo stato di Amburgo dopo i bombardamenti, commenta: "A differenza di quanto accade con le catastrofi odierne, che si diffondono lentamente e di soppiatto, le facoltà rigenerative della natura non sembrano pregiudicate dalle tempeste di fuoco. Anzi, ad Amburgo, nell'autunno del 1943, pochi mesi dopo il grande incendio, parecchi alberi e arbusti conobbero una seconda fioritura, in particolare i castagni e i cespugli di lillà". Fin troppo chiaro è il rimando alle considerazioni sulle rovine del sociologo Georg Simmel.
Sebald, "collezionista di ricordi", è anche lo straordinario costruttore di archivi enciclopedici della storia della letteratura occidentale, se si prova a cogliere tra i versi e tra le righe della sua prosa la parola di altri scrittori che ne hanno nutrito la fantasia saturnina. Tornano a galla, tra l'altro, sullo sfondo del poemetto sebaldiano, le parole di Elias Canetti, che, ricordando nella sua autobiografia la visita all'impressionante pala di Isenheim di Grünewald (Il frutto del fuoco. La scuola dell'ascolto. Vienna 1926-1928), scrisse: "Troppo spesso, forse, il compito più insostituibile dell'arte è stato quello dimenticato: non è la catarsi, né la consolazione, né il talento di disporre ogni elemento in funzione di un lieto fine. Perché il lieto fine non ci sarà. Ma peste, e piaghe, e tormento, e orrore e se la peste ha smesso di infierire, al suo posto inventiamo orrori più atroci (
) Tutti gli orrori che incombono sull'umanità sono anticipati in questo dipinto".
Elena Agazzi
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