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Libro presentato da Francesco Rutelli nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2023
Questo nuovo libro, a metà tra videogioco e romanzo cavalleresco, racconta le vicende della protagonista che si mette alla ricerca, nel cimitero del Verano a Roma, della tomba di famiglia.
La protagonista di questo romanzo si chiama Elisa Fuksas, come l'autrice, ed è Elisa Fuksas, almeno nelle intenzioni e nei desideri. Soprattutto nella ricerca. Tre anni or sono, Elisa era in piedi, la notte di Pasqua, nel battistero di Firenze, aveva trentasette anni e, dopo un periodo di avvicinamento e studio della religione cattolica, aveva deciso di battezzarsi, sollevando un coro di santità ed eccezioni, dalla famiglia, al confessore, al vescovo, fino a lei stessa e ai passanti. Ma in fondo sono le incertezze e le certezze che rendono umani, l'accesso a un'eternità a venire. Alla santità, anche, perché no. Non fiori ma opere di bene, a metà tra videogioco e romanzo cavalleresco, racconta le vicende della protagonista che, ormai battezzata e convinta delle possibilità e delle promesse del battesimo, si mette alla ricerca, nel cimitero del Verano a Roma, della tomba di famiglia del nonno paterno. Tomba di famiglia di cui tutti parlano e dicono, sulla quale tutti conoscono aneddoti e storie, della quale il padre - con la memoria architettonica e quantitativa che forse aveva già ma che il mestiere gli ha esercitato - indica addirittura la posizione. Solo che questa tomba, come certe radici, certe origini, certe appartenenze pure, non si trova. C'è, ma non si trova, non è dove tutti dicono che sia. E così, tra arciconfraternite che gestiscono porzioni di cimitero, vite che si intrecciano alle bacche dei pioppi, a vialetti che paiono condurre in un certo luogo e invece divergono verso un altrove non sempre confortante, e medium torinesi, la protagonista, così come si è appropriata, attraverso il battesimo, dell'eternità a venire, si appropria e soprattutto ci regala l'unica eternità accessibile agli esseri umani, come ha scritto Simone Weil: il passato. Con tono comico e tragico, e una lingua che riflette e pensa, Elisa Fuksas aggiunge un altro tassello alla propria biografia desiderata.
Proposto da Francesco Rutelli al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione: «Non fiori ma opere di bene è un viaggio reale e metafisico in una città, che è Roma, e in un suo quartiere che è anche il suo storico cimitero, e che diviene campo di una battaglia contro lo spazio, il passato, la morte. Elisa Fuksas gioca abilmente con il tempo, nemico e amico, che trasforma tutto e sembra rendere impossibili anche le cose più semplici: cercare la tomba di un misterioso nonno lituano morto nel 1950 e sepolto appunto al Verano. Trovare e capire le nostre origini è esercizio difficile e riappropriarsene richiede lavoro e immaginazione. Per farlo la protagonista si perde nella città dei morti, molto simile a quella dei vivi, cerca una tomba che è metafora di tutte le sparizioni e degli spariti di qualsiasi vita, per poi capire che in fondo non è così importante arrivare a una soluzione. Grazie a una lingua cristallina e lucida il romanzo apre a interpretazioni e riflessioni sulla paura della fine, certo, ma di contro e inevitabilmente sulla vita e i suoi continui cambi di stato: i ricordi, le verità, un amore che invecchia, le idee che scadono. Non fiori ma opere di bene fonde con ritmo, intelligenza e ironia tempo e assenza, perché è un libro sull’assenza di tempo, sull’anti-nostalgia; così facendo ci obbliga al presente, pur non parlandone mai.»
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Nella mia recensione a "Ama e fai quello che vuoi" concludevo così: "le generazioni precedenti alla nostra hanno distrutto un modo di vita umano perché fondato su valori, ambienti e appartenenze semplici ma forti. Occorre recuperare tutto questo, riscattandolo dall'oblio, anziché lasciarsi andare nel flusso del continuo presente: così non si avrà paura di morire.". Apparentemente qui l'autrice riparte da questo spunto. Di fatto poi spreca clamorosamente l'occasione. Sorvolo sulla ingenua confusione tra "legazione" e "delegazione". Apprezzo qualche giudizio appropriato qua e là, p. es. laddove esprime apprezzamento per l'educazione. Rinuncio a capire perché nel romanzo precedente c'era un certo Luca che voleva sposare la narratrice e qui invece c'è un certo Paolo che ci va a letto assieme ma si mette a ridere quando lei gli dice di volerlo sposare. Sbuffo quando la narratrice si compiace di mostrarsi in una specie di perpetuo caos, dove tutto è assurdo, insensato e frammentato, o di soffocarsi/soffocarci nelle sue paure irrazionali (tranne quella di essere investita in Via Zanardelli, quella viene anche a me quando ci passo). Quello che proprio non sopporto è il diluvio di trivialità che infarcisce il testo: forse l'autrice pensa che a Roma tutti si esprimano così, ma devo contraddirla, c'è anche chi non si esprime così. La casa editrice avrebbe dovuto farglielo riscrivere, ma forse anche loro pensano che sia normale.
Recensioni
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