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Anno edizione: 2023
Anno edizione: 2023
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Geniale, inquietante, depravato, perverso, folle e coinvolgente, il nuovo romanzo dell’autrice di Il mio anno di riposo e oblio.
«Quando chiedeva consiglio agli uccelli, quelli rispondevano che non sapevano nulla dell’amore, che l’amore era un difetto propriamente umano che Dio aveva creato per controbilanciare il potere della avidità degli uomini.»
«Attraverso un mix di stregoneria, inganno, omicidio, abusi, deliri, conversazioni assurde e momenti raccapriccianti, Moshfegh crea un mondo in cui non vorresti mai abitare, ma dal quale non puoi distogliere lo sguardo.» - The Atlantic
«Ciò che colpisce qui non sono tanto le capacità di Moshfegh con i personaggi o la narrazione, o anche il suo stile… quanto le qualità che Lapvona condivide con un dipinto di Francis Bacon: raffigurare con una vitalità sanguigna l’animale umano nel suo caos originario, senza morale né giudizio.» - The Guardian
«Disturbante, crudo, nero. Il mondo tratteggiato da Ottessa Monshfegh in Lapvona è governato da ferocia, bugie, avidità, egoismo, ignoranza, disuguaglianze sociali e annessi mali, dunque in parte tristemente vicino alla realtà odierna.» - Il Fatto Quotidiano
«Un libro che al passo rapido, da cinepresa, fa seguire una bulimia tematica che non lascia scampo, innescando una curiosità continua, pari solo al disgusto di cui, il narratore, è tronfio artefice.» - Sara Annicchiarico
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il romanzo si legge velocemente, la prosa è molto scorrevole, nonostante le numerose sequenze descrittive di personaggi, situazioni, ambienti. Il romanzo sembra ambientato nel medioevo ma è un medioevo strano, un medioevo in cui non c'è Dio, nè la fede ma solo crudeltà, promiscuità, fame e paura, un medioevo senza speranza nè fermento, come senza speranza è la conclusione -tronca- del romanzo. È un errore approcciarsi al romanzo con l'idea che esso abbia connotati storici o poetici. Il romanzo racconta una storia congegnata dall'autrice, in cui il medioevo è solo patina superficiale. Un'ambientazione in un presente o futuro distopico non avrebbe cambiato il senso del romanzo: al lettore resta la sensazione sgradevole di una carellata di personaggi abilmente tratteggiati ma che svaniscono presto, come fiammiferi bruciati dalla propria solitudine, dal dolore e dall' indifferenza al dolore altrui.
"E il paradiso, Ina? Non vuoi andarci?" "Non importa" disse lei. "Non conoscerò nessuno." Una fiaba nera, grottesca, dai toni cupi, inquietanti, che trasmette ansia, angoscia, un forte senso di solitudine e di smarrimento. Tratteggia in modo disturbante, violento, crudo, la natura peggiore dell'umanità. "Quando Dio ti dà più di quanto puoi sopportare, ti affidi all'istinto . E l'istinto è una forza fuori da ogni controllo". Lapvona è un villaggio medioevale, dall'atmosfera surreale, dove il tempo passa sempre uguale, scandito dalle stagioni e dai raccolti che, troppo spesso, per freddo o troppe piogge, o troppo caldo e siccità, non sono abbondanti. Qui il Male assume di volta in volta l'aspetto di un prete senza scrupoli e senza alcuna conoscenza della Bibbia, che terrorizza il popolo con racconti di fiamme dell'inferno e punizioni divine, o di un gruppo di banditi che porta morte e distruzione, o di un padre, una madre, un figlio, un amico... Le donne sono poco più che oggetti: "sapeva che combattere era inutile. Essendo donna, avrebbe sempre perso". A Lapvona regna un signorotto bifolco, Villiam, avido e arrogante, senza senso e sentimenti, noioso ed annoiato, perennemente in cerca di piacere agli altri e di piaceri per sé. E c'è un popolo bigotto, schiavo di una religione-superstizione che lo porta a subire terrore, fame, violenza, soprusi confidando nella ricompensa del paradiso. E ci sono Ina, la "strega" senza tempo e senza età che conosce le erbe e le loro proprietà curative e parla con gli uccelli; Marek il ragazzo storpio che da figlio di pastore si ritroverà signore di Lapvona; il vecchio Grigor che sogna la libertà... Lo stile si addice perfettamente al contenuto, crudo, scarno, essenziale. "È strano che il fuoco scotti quando lo si tocca. Il fuoco è luce. Non dovrebbe essere il buio a far male?"
Otessa Moshfegh è un'abile scrittrice; le parole si tramutano facilmente in immagini, i nomi diventano personaggi tridimensionali e l'ambiente reale. Entriamo in una Lapvona vivida, cruda e spirca come se fosse un'esperienza con il VR. E allora che cos'è che manca? Una certa corposità narrativa. Moshsfeh sembra avere il timore di addentrarsi troppo nel modo da lei creato e rimane così ad un livello superficiale. Da questo punto di vista Lapvona può essere visto come un prototipo, un esperimento letterario. Che Lapvona funga da struttura, da scheletro, per il futuro indirizzo della scrittrice? Solo il tempo potrà dircelo, nel frattempo quest'ultimo romanzo può essere letto senza avere troppe pretese e così goderselo appieno.
Recensioni
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