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Di quando la fame scende sotto la soglia minima accettabile della dignità umana, ce n'è qui un bell'esempio letterario. Da queste parti, di questi tempi e da qualche generazione oramai, non sappiamo più cosa sono fame e miseria, quelle vere e nere. Però, non si può trascurare il fatto che tutt'ora dilagano e che ovunque potrebbero ritornare. E infatti, come se il nostro organismo ne avesse sentore, continua ad immagazzinare scorte caloriche in attesa, comunque, di carestie; nel frattempo, il metabolismo si abbassa e si diventa ciccioni. Hamsun è morto nel '52 e non è mai diventato ciccione, anche grazie al fatto che, essendo questo romanzo parzialmente autobiografico, si capisce come nella prima parte della sua esistenza, non sia riuscito a formare adipociti a sufficienza per garantirsi una placida e tardiva pinguedine. Baffetti alla Walser con il quale condivide modernismo ed esperienze psichiatriche; senso di alienazione, monologo interiore e soggettivismo alla Bernhard. Con una buona dose di nichilismo e autolesionismo in bella prosa spontanea minimalista, restituisce temi a me molto graditi: insomma, ho un po' un debole per i derelitti in letteratura. Da queste righe, inanellate con notevole abilità letteraria, ho ricavato una bella tensione narrativa e un'inaspettata quantomai graditissima energia, che ha reso la lettura di una piacevolezza assoluta. Concludendo, ricollegandomi al titolo di questo commento, mi servo di quel fenomenale battutista qual era Totò, che con consueta arguzia e ironia (mentendo, come spesso fa il nostro protagonista senza nome) proferì: «Fame?, io non ho mai fame; appetito qualche volta...»
Questo è un libro bellissimo, che ancora più della fame, racconta della vergogna di chi cerca in ogni modo di non lasciare trapelare, anche a costo di autosabotarsi, la situazione di grave indigenza in cui si trova ad annegare costantemente. Una scrittura potente e indimenticabile.
Scrittura altissima, per una storia che ti rimane dentro. Più che il bisogno, la fame del protagonista, ti rimane addosso il senso di vergogna che lo accompagna fino alla fine.
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