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L'ho letto spinta dalla trama e dal fatto che fosse stato inserito tra i migliori libri del XXI secolo del New York Times. Personaggi piatti e non caratterizzati, trama piatta, originale l'idea delle porte che non è spiegata e rimane lí, il dramma è dato dalla guerra che non si capisce dove si svolge. Tutto molto scialbo, però è breve e si legge in poco tempo.
Exit West è un romanzo che mette paura, perchè la guerra fa paura, ti aliena, distrugge tutto ciò che è attorno a te. Ma ciò che fa più paura è l'intolleranza nei confronti dei Migranti, altro tema saliente del libro. I fuggiti dalla guerra migrano grazie a porte magiche e si ritrovano prima in Grecia, poi in Inghilterra e soprattutto qui si nota una forte intolleranza, quasi unq persecuzione nei confronti di chi fugge dalla sua terra per necessità. È da leggere assolutamente.
Nadia e Saeed sono i protagonisti della storia. I due si conoscono e cominciano ad uscire, fin quando non scoppia la guerra civile nel loro paese. La descrizione della guerra è fatta magistralmente, mette una angoscia nel lettore permettendogli di immedesimarsi nella vicenda. Ma ad un certo punto viene usato un espediente per "smorzare" la situazione: queste "passa-porta" che ti conducono in ogni parte del mondo. Penso che l'autore abbia voluto, in modo implicito e sottile, far riflettere sul tema dell'immigrazione.
Recensioni
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Girava voce che ci fossero porte capaci di trasportarti in altri luoghi, anche molto remoti, lontano dalla trappola mortale in cui si era trasformato il paese. Alcuni sostenevano di conoscere qualcuno che conosceva qualcuno che era passato attraverso una di quelle porte. Una porta normale, dicevano, poteva trasformarsi in una porta speciale, e poteva accadere senza preavviso, a qualunque porta.
In una città senza nome, che noi europei classificheremo subito come mediorientale, un ragazzo e una ragazza si innamorano. Succede all’improvviso, una sera come tante, in un’aula dell’università. Lui è Saeed, viene da una buona famiglia, è figlio di un professore universitario, prega, lavora ed è rispettoso delle tradizioni. Lei è Nadia ed è meno conformista: non prega, vive da sola, apprezza i funghetti psichedelici e scorrazza per la città in sella a una moto, in testa non un jihab ma un casco nero. Il loro amore cresce in segreto, lontano dagli occhi indiscreti e dalle dicerie. Lontano anche dalla famiglia di Saeed.
Ma quella città senza nome non è disposta ad accogliere la loro storia. I rifugiati sono sempre più numerosi, i miliziani iniziano a creare disordini, le stelle, in cielo, lasciano il posto a droni ed elicotteri. È un tempo di coprifuochi, di sguardi spaventati fuori dalle finestre, di genitori in attesa di figli che non torneranno più. Ma è anche un tempo di speranza, di voci che sussurrano l’esistenza di porte capaci di trasportarti lontano, in luoghi più sicuri.
Sarà proprio grazie a una di quelle porte che Saeed e Nadia riusciranno a lasciare la loro città, in cerca di salvezza. Ma l’attraversamento di quella soglia nera è solo l’inizio di un lungo viaggio, che li porterà prima a Mykonos poi a Londra poi a San Francisco, in una lunga odissea metafora delle rotte percorse dai migranti. Ma Hamid si spinge oltre, disegnando un mondo possibile, dove il presente in cui è immersa la nostra società si accentua per dare vita a un futuro vicino e che – forse – non vorremmo mai vedere, fatto di violenza.
Dopo Il fondamentalista riluttante e La civiltà del disagio, Hamid scrive un romanzo che unisce in giusta misura l’oggettività del reportage e la fantasia tipica del realismo magico, con una prosa in gran parte descrittiva ma punteggiata da battute e dialoghi incisivi. Un romanzo che porta il lettore a interrogarsi sul valore e il significato di termini come multiculturalismo, cosmopolitismo e società ibrida, più che mai attuali e necessari nella loro valenza politica, storica e psicologica.
Recensione di Mauro Ciusani
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