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Nel granducato di Toscana, alla corte dei Medici, tre donne lottano per realizzare i loro sogni.
Come sempre, il castello l'avrebbe aiutata. Le tornò in mente una frase che lei stessa aveva scritto a sua nipote: senza una donna non c'è famiglia né casa; presto sarebbero state in due, e si poteva, sì, ricominciare. La loro casa era la sua forza, e anche quella di Camilla, che tra poco ne avrebbe oltrepassato la soglia
Anno Domini 1657. Elisabetta Calabri di Montebello, detta Betta bai, vive tra i boschi dell'Appennino tosco-romagnolo e sogna la vita fiorentina alla corte dei Medici. Il marchese Giangiacomo, suo padre, è uno scienziato in odore di eresia perché seguace di Galileo. Vedovo e immerso in studi che tiene segreti e in esperimenti che compie nelle antiche miniere di famiglia, ha affidato l'educazione della figlia alla propria sorella, suor Carmela del Gesù, al secolo Barbara Calabri, che vorrebbe sposare la nipote a un signore del luogo per poterle stare sempre vicino e non disperdere gli sterminati possedimenti. In una mattina di luglio, giunge però a villa Calabri un cavaliere: Filippo Salimbeni, nobile medico fiorentino, in viaggio verso Bologna per conto del granduca di Toscana. A cena Filippo conosce Elisabetta: è un colpo di fulmine, finalmente Betta bai può realizzare il sogno di trasferirsi a Firenze. Ma la capitale del granducato non è esattamente quel che si era immaginata. La libertà di cui aveva goduto diventa ben presto un lontano ricordo nell'atmosfera bigotta di casa Salimbeni e in quella stantia di una corte e di una città in piena decadenza, con un marito sempre più distante e preso dalle sue ambizioni di medico. Dalla sua parte avrà sempre la zia che gli invierà in soccorso una vecchia e, per una suora, insospettabile conoscenza: Ludovico Manobruna, uomo di corte e libertino, grazie al quale Elisabetta riesce a farsi conoscere e apprezzare in città e, finalmente, a ipotizzare un futuro radioso per sé e per il figlio che sta per nascere e che riempie di gioia lei e Filippo. Ma nel «secolo di ferro» i pregiudizi e un'ortodossia soffocante si intrecciano ai destini delle persone mettendone a rischio la felicità e anche la vita stessa... Ambientato in un periodo pieno di suggestioni, il Seicento della decadenza di Firenze e dell'Italia intera, ma anche della rivoluzione scientifica, in bilico tra antico e moderno, Le donne dei Calabri di Montebello segue la storia di tre generazioni di una famiglia di antica nobiltà feudale e soprattutto quella di tre donne, Barbara, Elisabetta e Camilla, donne inserite nella loro terra e nel loro tempo, ma anche libere e anticonformiste, forti e romantiche, capaci di inseguire i loro sogni e di lottare per realizzare il loro destino.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Interessante spaccato della vita in quel secolo. La narrazione è a tratti divertente, ma spesso troppo dettagliata nelle descrizioni e quindi un po'noiosa
Un romanzo appassionante, per quanto chilometrico, che tiene sempre sulla corda, in attesa di vedere cosa succede dopo. Poche volte o mai mi era capitato di sbirciare avanti nelle pagine per conoscere in anticipo gli sviluppi di una storia. Mirabile è anche l’ambientazione, la cura nel ricreare fin nei minimi dettagli vita e atmosfere di quattro secoli fa. Meno entusiasmante è però l’aspetto letterario. Il libro è prolisso, si perde in mille particolari (mobili, arredi, capi di vestiario) e sprofonda a più riprese nell’inciso, e nell’inciso dell’inciso, e nell’inciso dell’inciso dell’inciso, al punto che l’ambientazione diventa protagonista, soprattutto nella parte iniziale, a discapito della sostanza del romanzo. Del resto la stessa autrice racconta in appendice come all’inizio il libro, che ancora oggi conta più di 500 pagine, avesse dimensioni addirittura doppie, e abbia reso necessario un lungo lavoro di sfoltimento, con l’eliminazione di diversi personaggi e di interi filoni narrativi. Il che fa pensare che l’opera di ridimensionamento non sia del tutto riuscita. Per giunta, a dispetto di questa elefantiasi, qua e là emergono passaggi improvvisati o non adeguatamente motivati, come quando lo spadaccino al servizio della marchesa Giacinta intuisce, senza bisogno di parole, che la sua padrona vorrebbe veder morto uno scomodo testimone dei suoi intrighi, e agisce di conseguenza, con una sollecitudine che potrebbe anche essere credibile, non fosse che, per quanto risulta al lettore, lo spadaccino non è affatto a conoscenza dell’esistenza di questo testimone né tanto meno del pericolo che rappresenta per la sua padrona.
Una storia al femminile, ricchissima ed avventurosa. Il personaggio che più mi è piaciuto è stato quello di Barbara Calabri, che ritengo la vera rivoluzionaria protagonista del romanzo. L'autrice stupisce sempre per la sua capacità di misurarsi con generi letterari alquanto diversi.
Recensioni
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