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Bellissimo libro di poesie: lo consiglio!!
“Dolore minimo” di Giovanna Cristina Vivinetto Interlinea edizioni Ho mani piccole e “Dolore minimo” di Giovanna Cristina Vivinetto è, fisicamente, un libro piccolo, adatto a mani innamorate della carta più che delle tastiere. Aperto, però, il libro diventa grande, come la profondità delle analisi che vi sono contenute e la sapienza formale con cui il vissuto viene disposto in un racconto lucido e coinvolgente. Dopo tante prestigiose recensioni, commentando “Dolore minimo” si rischia di ripetere il già detto o di scadere nella banalità, ma la sua lettura genera l’irresistibile tentazione di parlarne, perché pochi libri di poesia sono così permeabili alla comprensione del filo conduttore e, perciò, così necessari da trattenere. “Dolore minimo” racconta una ri-nascita nel senso di una nascita diversa dalla prima e dalla sua involontarietà: Giovanna sceglie di rinascere e impegna tutto il suo corpo in questo parto di sé che tuttavia non è “annullamento né mutilazione”, non è “rinuncia, non negazione”. È attraversamento di un confine. Il corpo con cui Giovanna Cristina, rinata, sta al mondo, esisteva già, modellato da esperienze ed abitudini, ricco dei segni di incontri e abbandoni, ubbidiente nel conformarsi al ruolo assegnato finché la “figlia […] che “da nessuno è stata generata”, non gli ha chiesto, appunto, di oltrepassare un confine per ricongiungersi alla parte mancante e placarsi nella conquista dell’identità in cui ciascuno, convintamente, si riconosce. “Dolore minimo” non è il manifesto di chi ha sperimentato, crescendo, “un ribelle scollarsi dalla carne, /una lotta fratricida tra spirito/ e pelle.” È il viatico di chiunque abbia voglia di assaporare una poesia potente che porge con delicatezza al lettore un paradigma per orientarsi nell’infinita, meravigliosa confusione dell’esistere. Rita Imperatori
Dolore minimo è la storia di una nascita, di una metamorfosi presagita per anni, desiderata, forse temuta. Parole bellissime e profonde quelle che Giovanna usa per raccontar la fatica di esser madre di sé stessa, il peso e la gioia di una dicotomia ( Non mi sono mai conosciuta/ se non nel dolore bambino/ di avvertirmi a un tratto/ così divisa. Così tanto parziale). Seguendo l'antichissima voce, Giovanna trova il coraggio: E quel mostro che in tanti anni/ avevo allontanato, fu assai più/ docile quando, abolite le catene,/ lo presi infine per mano.È un gioco di compresenza, assenza e malinconia:“Tornare poi allo specchio/ e scoprire che qui, proprio qui,/ sotto questi seni e questi fianchi,/ dietro la maschera di trucco/ e dietro i tacchi alti/ qualcuno qui c'era, / per un po' c'è stato/ e poi all'improvviso/ non è stato più”. E ancora: “Talvolta il terrore dell'assenza/ mi sconvolge- quando mi accorgo/ che lo spazio che occupa il mio corpo/ era esattamente il tuo. Con me/ porto anche le tue radici./ Per quanto intangibile tu sia ora/ ti rivedo./ Ti ritrovo ovunque./ Eri me quando bastava solo/ un soffio distratto di vento/ per spezzare il ramo”. Ha coraggio da vendere, Giovanna, e una forte determinazione: diventar madre di sé stessa, partorirsi, non è un percorso semplice ( Nei riti di rinascita c'è un prezzo / da pagare- ed è la rinuncia, l'umiliazione,/ privarsi di tutto per avere una possibilità. /Ma come ogni madre, riesco persino / a rimboccar le coperte, soffiare/ la buonanotte, con le dita scostare i capelli/ da una fonte che non trova più pace). Eccola, finalmente: ecco il frutto di questa ricerca, ecco il nuovo inizio. Non ci sono vagiti a sancire la nascita né corridoi d'ospedale, ma la fredda aula di un tribunale e un papà-giudice che la chiama davvero, per la prima volta-finalmente.Finalmente questo corpo è diventato ciò che il cuore è sempre stato, ciò che ha sempre saputo.
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