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Ho letto questo libro in mezza giornata. La lettura scorre velocemente e incanta, lasciando al lettore, dopo ogni pagina, la voglia di scoprire di più. È un libro, tuttavia, che richiede di andare in profondità, se sì rimane in superficie rischia di essere non apprezzato. Al centro della narrazione si può individuare quella che è la grande varietà degli esseri umani: agli adulti che nascondono la verità e sono ingabbiati negli schemi, si oppongono pochi altri uomini e donne che, opponendosi a tali schemi, vengono giudicati pazzi e fatti oggetto di scherno. E poi una bambina che incarna la libertà e un suo amico che, seppur condizionato già in parte dagli adulti, riesce ancora a farsi guidare dalla sua parte ancora non condizionata e partire per scoprire la verità. Verità, vendetta, amicizia sono alcuni dei temi trattati in questo libro in modo apparentemente facile, ma in realtà con una profondità straordinaria.
D’un tratto nel folto del bosco di Amos Oz è un piccolo capolavoro di dolcezza e pacatezza. Bastano le prime cinque pagine per cogliere la potenza della scrittura di Oz, la maestria con cui incasella le parole per dipingere le scene, dalle più comiche alle più drammatiche. Una favola sempre attuale a qualsiasi latitudine, che è in grado di risvegliare nel lettore l’intera gamma di emozioni, dalla gioia alla tristezza, dal rancore al perdono. Due bambini ci guidano nel folto del bosco alla scoperta dei nostri peccati e sono loro i veri adulti della storia, due piccoli giganti curiosi, legati da un affetto fanciullesco, che a dispetto di quanto il mondo attorno a loro cerchi di inculcarli vogliono comunque andare “oltre” mossi da quella genuina curiosità che solo chi non è del tutto ammaestrato sa ancora utilizzare. È secondo me qui che sta la vera bellezza del racconto, nella potenza espressiva di Maya e Mati e nella capacità di Oz di far cascare il lettore adulto nelle trame dei loro pensieri, facendolo tornare bambino, puro, genuino, capace di immaginare un mondo “altro” governato da leggi diverse. Questa è una “favola ecologica”. Come noi oggi siamo alla disperata ricerca di un colpevole esterno, nascosto e invincibile, che possa essere la causa ultima del nostro soffrire e dello sfacelo che regna sulla Natura, così gli abitanti del villaggio sono portati ad accusare un demonio, spaventevole e oscuro, per la scomparsa di tutti gli animali, una catastrofe ambientale. Nascondono a sé stessi e ai propri figli il fatto che quel male è parte di loro che lo hanno generato e che su di loro ricade la colpa ultima di tutto. Quello che rimane, nonostante tutto, è la speranza. La speranza che ci possa ancora essere un domani in cui l’uomo capisca e affronti i propri errori verso sé stesso e verso la Natura (essendo già questa distinzione un peccato capitale), e maturi, si evolva come fanno i due protagonisti.
Sono combattuta, a tratti è un romanzo che mi è piaciuto, a tratti è stato un po' troppo prolisso e ridondante. Diciamo che il target è più un pubblico infantile, una fiaba da leggere ai più piccoli prima di andare a dormire, soprattutto perché lascia certamente in loro un'impronta positiva. Quel che emerge è il tema dell'accettazione del "diverso" che gli abitanti del villaggio maledetto non rispettano. Questo beffeggiare continuo che porta all'esclusione di alcune persone considerate appunto non in linea con loro ha portato alla scomparsa di tutti gli animali che, seguendo il capo Nehi, si sono rifugiati in montagna per vivere senza differenze con lui, l'escluso per eccellenza. Una vendetta, una fuga per salvarsi dai bullismi e dalle prese in giro, eppure eppure eppure ogni mese qualche bimbo lo va a trovare, accidentalmente, e Nehi, ormai diventato addirittura il demone di cui tutti hanno paura, può raccontare la sua amara esistenza e le vicissitudini che hanno fatto sì che agisse in questo modo così estremo. Forse era riassumibile in meno pagine, 114 sono effettivamente eccessive per un racconto così ridotto, la morale finale però è quella che rimarrà indelebile (si spera) almeno nei più piccini. "Per intanto state molto attenti, voi due, a non ammalarvi anche voi del morbo dello spregio e delle beffe. Anzi: pian piano cercate magari di guarire un poco i vostri amici, almeno alcuni di loro, da questi disturbi. Parlate loro. Parlate a quelli che offendono e anche a quelli che tormentano e a quelli che sono contenti di far del male agli altri."
Recensioni
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“Tutto era cominciato tanti, tanti anni prima che i bambini del paese nascessero, in tempi in cui persino i loro genitori erano ancora piccoli. Nello spazio di una notte, una qualunque notte piovosa d’inverno, tutti gli animali erano spariti dal villaggio: bestiame e uccelli e pesci e insetti e rettili. L’indomani mattina in tutto il paese erano rimasti solo gli uomini, le donne e i loro figli.”
D’un tratto nel folto del bosco: il suono musicale di questa semplice frase ha il medesimo impatto semiologico e immaginifico del c’era una volta della nostra infanzia o era una notte buia e tempestosa, divulgata (ma non inventata) dalla velleità di scrittore di Snoopy che riparte sempre da lì con foglio bianco e macchina da scrivere. Un incipit perfetto, insomma, ma un incipit non è. È piuttosto il modo di Amos Oz per comunicare immediatamente il tipo di storia che ci troveremo a leggere: una favola intensa e un po’ inquietante scritta con la semplicità di un racconto per ragazzi da uno dei più difficili, complessi autori contemporanei.
Nel folto del bosco tutto può accadere: è il luogo del mistero per eccellenza, ma anche quello della fiaba, dove passano i lupi e le bambine incappucciate, le belle addormentate e i principi, Hansel e Gretel e la strega, Pollicino e l’orco. Bruno Bettelheim (Il mondo incantato è tuttora in commercio) e Vladimir Propp (Morfologia della fiaba) hanno dedicato molti saggi e ricerche alla comprensione del significato di questi luoghi simbolici.
Tuttavia a volte la letteratura riesce a spiegare come un saggio, seppur in mondo intuitivo e romantico, i medesimi meccanismi. È ciò che fa Amos Oz raccontando la favola di un luogo indefinito in cui, in un tempo ugualmente imprecisato, scompaiono gli animali, tutti: dagli insetti ai mammiferi. La nuova generazione di abitanti del paese non solo non conosce la forma o il verso di un qualsiasi animale, ma addirittura l’argomento è diventato tabù. Chi ricorda non vuole parlare e nessuno intende cedere alla nostalgia, al rimpianto, o analizzare il perché di un’assenza così prolungata e apparentemente inspiegabile.
La colpa di questa repentina e assoluta sparizione (si sono allontanati anche gli animali da cortile e i cani più affezionati ai propri padroni) viene attribuita a Nehi, il demone del bosco, una figura simbolica della cui esistenza sono certi solo alcuni. A lui la colpa, agli abitanti l’assoluzione. Fra tutti i bimbi del paese solamente due, Maya e Mati, si sentono attirati e affascinati dal bosco e arrivano ad addentrarsi nel folto dei rami, sempre più in là, alla ricerca di qualcosa che non sanno indicare esattamente a parole, ma che hanno inteso esistere. E tutta la seconda parte della storia è incentrata sulla ricerca e la scoperta della natura, del senso dell’esistenza in un mondo che appartiene a tutti gli esseri viventi, meritevoli del medesimo rispetto e di una pari considerazione, perché “la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quello che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero”.
di Giulia Mozzato
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