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Anno edizione: 1997
Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
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«Si diventa donna, una persona adulta. A dispetto di abbondanti prove, perfino a dispetto della propria intelligenza, si dà fiducia alla costanza delle cose, ci si affida alla loro quotidianità. Un giorno si apre la porta di casa, si fa per uscire nel cortile, ma non c’è più la terra e si precipita in un buco che non ha fondo, non ha pareti, non ha colore. Il mistero del buco nella terra non è niente in confronto al mistero della nostra caduta; proprio quando ci si abitua a cadere, a cadere per sempre, ci si arresta; e questo arresto è un altro mistero, perché come può essere avvenuto? Non c’è risposta, così come non c’è risposta al perché si sia cominciato a cadere. Ma chi siamo noi? Un mistero al quale nessuno può rispondere, neppure noi stessi. E perché no, perché no?». Autobiografia di mia madre (Adelphi, 1997) per la traduzione di David Mezzacapa di Jamaica Kincaid è una scrittrice antiguo-barbudana con cittadinanza statunitense più volte candidata al Premio Nobel per la Letteratura.
In realtà non spaevo bene cosa scrivere a parte il fatto che il libro non mi è piaciuto e non sono nemmeno riuscita a finirlo, finchè non ho letto la rennsione precedente di Benedetta che ha trovato parole per quello che non riuscivo ad esprimere. Esatte e precise da quotare in toto. Come faccio spesso ho preso il libro dalla libreria (depositaria di acquisti compulsivi di anni passati miei e dei miei genitori, ho deciso che prima di comprare libri nuovi debbo almeno considerare quelli vecchi, se leggerli, rileggerli, tenerli o meno), questo presumo di averlo comprato io, sarebbe il mio genere, probabilmente debbo aver anche provato a leggelro in passato perchè i primi capitoli mi suonavano in qualche modo, poi debbo averlo droppato già allora, manca di qualsiasi attrattiva a farmi continuare la lettura, in primis la protagonista che, se può avere un valore letterario renderla antipatica, non produce comunque una lettura piacevole, e se la lettura non è piacevole a che serve il valore letterario mi chiedo ? Nah, non lo tengo.
Sicuramente il libro è un'espressione significativa della letteratura postcoloniale e le definizioni estrapolate nella recensione sull'Indice sono indicative di un diverso punto di vista sulla storia coloniale europea. Purtroppo, mi sembra però che il valore del romanzo sia esclusivamente sperimentale: quanto al "piacere" che una lettura dovrebbe procurare, è seriamente limitato dall'esposizione caotica, dalle ridondanze, dal lessico elementare, dal superficiale scavo psicologico, dalla lentezza in genere dell'azione. Davvero pregevole, rimane solo il titolo, che, però, non rispecchia assolutamente la biografia confusa e pesante che Xuela, l'antipatico io narrante, scrive di sè.
Recensioni
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scheda di Concilio, C., L'Indice 1997, n. 7
All'incrocio tra autobiografia e biografia fittizia nasce la vita romanzata di chi dice "io" in questo libro dedicato ad altri: "Questo racconto della mia vita è stato in egual misura anche un racconto della vita di mia madre, e non solo, è anche un racconto della vita dei figli che non ho avuto". In origine, dunque, è un'assenza. La madre della protagonista è morta di parto alla sua nascita, lasciando un vuoto, il sogno di una donna senza volto, con un vestito che le scopre i calcagni, il fantasma di un popolo pressoché estinto. In origine, allora, è una doppia assenza, là dove le radici personali e storiche coincidono. Come già in "Lucy" (Guanda, 1992), colpisce anche qui la solitudine dell'io autobiografico, la mancanza di amore, le incidentali e accidentali relazioni umane. Accanto alle tematiche esistenziali e alle domande sul senso della vita, dell'amore, del sesso e della morte, si ripropone con insistenza uno dei problemi fondamentali per gli scrittori caraibici, di cui la Kincaid, nata ad Antigua e ora residente negli Stati Uniti, si fa portavoce: l'identità. L'identità linguistica per cominciare: la protagonista condivide il "patois" francese con i suoi pari e l'inglese formale, scolastico e diplomatico con gli europei e i nemici personali. L'identità etnica: l'insegnante educata dai missionari metodisti "era del popolo africano e trovava in questo un motivo di umiliazione e di odio per se stessa", mentre la protagonista dice di sé: "Ero del popolo africano, ma non esclusivamente. Mia madre era una donna cariba, e quando guardavano me era questa la cosa che vedevano: il popolo caribico era stato sconfitto e poi sterminato; il popolo africano era stato sconfitto ma era sopravvissuto". E ancora, l'identità nazionale: "Un'isoletta non è una patria", e l'Irlanda è "un paese vero, non un paese finto come il mio". I Caraibi insulari, colonizzati, dove il meticciato ha prodotto varie sfumature di colore sociale più che razziale, i Caraibi ai margini degli imperi, i Caraibi di Jamaica Kincaid prorompono di una vitalità tristemente esuberante.
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