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una ragazza amante della lettura e con un lavoro in una redazione inizia una discutibile relazione con uno scrittore affermato che per l’età potrebbe essere suo nonno. Non ci sono preamboli, presentazioni di contesto e dei personaggi, il libro inizia direttamente con l’incontro dei due. Non sopporto che la narrazione si spesso interrotta da brani di libri, canzoni o interviste in corsivo che non c’entrano nulla. Stessa cosa per le numerose descrizioni di partite di baseball. Improvvisamente la seconda parte, che nulla c’entra con la prima, come una relazione amorosa con la guerra in Iraq.
Nonostante sia ben scritto per essere un primo lavoro, non ho trovato questo libro così sorprendente e all’altezza delle aspettative create dalla sinossi. Lo stile è molto americano, asciutto e privo di sentimentalismi, ma in certi passaggi le descrizioni diventano troppo tecniche e distraggono - forse annoiano, anche. In compenso mi è molto piaciuta l'asimmetria che pervade il libro in vari modi: quella tra le storie narrate, e per estensione tra gli stili con cui esse vengono raccontate; quella molto evidente tra Occidente e Oriente, e tra i rispettivi sistemi di pensiero; quella, infine, tra tutte le differenti coppie di personaggi che si confrontano sulla scena, e i mondi che si portano dietro e di cui si fanno rappresentanti. Proprio in virtù di questa asimmetria non saprei dire quale storia mi è piaciuta di più e quale di meno... in definitiva direi che si tratta di un libro da leggere, ma non con urgenza.
Un romanzo a tratti davvero interessante, avrei forse preferito che alcune parti venissero abbreviate ma vale comunque una lettura solo per alcuni passaggi nella seconda parte, grandi spunti di riflessione sulla nostra realtà occidentale e non solo.
Recensioni
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La bravura di Halliday e l’appagamento del lettore? Simmetrici
Asimmetria (259 pagine, 17 euro) di Lisa Halliday, tradotto da Federica Aceto per l’editore Feltrinelli è uno dei libri più chiacchierati del momento. Comprensibile che scriverne metta una certa ansia, essendo alta la probabilità di riproporre informazioni e considerazioni già lette altrove. Correrò il rischio, dato che consigliare un titolo è un azzardo – a metà strada tra la pratica altruistica dell’apostolato culturale e la narcisistica esaltazione dei gusti personali – soggetto a pulsioni incontrollabili.
Già all’indomani della pubblicazione in America, la fama di Asimmetria, esordio della Halliday come romanziera, ha creato anche in Italia una discreta attesa, favorita dalle curiosità a proposito del legame amoroso tra l’autrice e uno scrittore in odore di Nobel, identificabile con Philip Roth, oggetto della prima delle tre storie in cui si articola il romanzo. Confesso che il desiderio di guardare dal buco della serratura l’insolito interno di coppia tra Roth, il mio preferito di sempre, e la sua giovane amante ha giocato un ruolo determinante sulla mia volontà di leggere il libro.
Felice di dire che vi ho trovato altro.
“Follia”, prima parte del romanzo, si divora velocemente e con piacere, eppure la liaison tra l’aspirante scrittrice Mary-Alice e il pluripremiato autore Ezra Blazer sarebbe insoddisfacente a giustificare la corale euforia, se non ci fossero le altre due parti del romanzo, “Pazzia” e ” Desert Island Discs con Ezra Blaser” a seguire.
Il fatto privato, con l’indovinatissima terza persona di cui la Halliday si serve per neutralizzare se stessa in qualità di protagonista e rivendicare il ruolo di scrittrice, scorre via, infatti, senza l’incisività che avrei sperato, nonostante il suo pur interessante carico di asimmetrie: giovinezza versus vecchiaia, salute contro malattia, aspirazione a diventare scrittrice contrapposta al compimento pieno di tale ambizione professionale.
È quando ho rinunciato a separare la «verità» dalla «finzione», come se queste categorie il romanziere non le scartasse fin dall’inizio e per dei buoni motivi – parole di Ezra – e mi sono messa «ad ascoltare la composizione», che sono rimasta folgorata dalla crescente intensità del testo.
Le asimmetrie che si avviluppano nel flusso di reminiscenze e meditazioni di “Pazzia”, il racconto – questo in prima persona – nel quale sprofonda il giovane economista iracheno Amir, bloccato dalla polizia di frontiera nell’aeroporto di Heathrow per un weekend, rimpolpano il romanzo, facendolo salire considerevolmente di livello poiché impongono al lettore un cambiamento di ruolo. L’altalena narrativa tra sfera individuale e dimensione di più ampio respiro sociale della vicenda di Amir, in cui si materializzano i secoli di dissidenza culturale e ideologica tra occidente e oriente, hanno, difatti, reso anche me, irretita dall’insolito gioco di prospettive ordito dalla Halliday, una cacciatrice di dicotomie.
Insomma, sono rimasta sorpresa e deliziata – prendo a prestito parole dal libro – «dalla sicurezza di questa scrittura, dall’equilibrio perfetto, dall’arguzia fulminante». Soddisfatta anche quando ho visto, nella parte conclusiva del romanzo, il mio seppur residuale desiderio di reductio ad unum svanire.
In “Desert Island Discs con Ezra Blaser”, l’intervista radiofonica dell’ultima sezione, infatti, Ezra squaderna i propri ricordi sull’onda di brani musicali per lui particolarmente evocativi, flirta apertamente con la conduttrice, esibisce la sua arroganza di seduttore e la saggezza di scrittore, ma lontano dal tirare le somme, continua, imperterrito a disseminare esche.
A voler fare il punto finale potrei azzardare che siamo di fronte al raro caso in cui Lisa Halliday e la sua l’idea di un mondo asimmetrico siano confutabili, essendo perfettamente simmetrico, qui, il rapporto tra bravura dello scrittore e appagamento del lettore: entrambi agli stessi, altissimi livelli.
Recensione di Antonietta Molvetti
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