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Prima parte: 11 capitoli per 71 pagine, moderato. Seconda parte: 14 capitoli per 31 pagine; allegretto. Terza parte: 28 capitoli per 82 pagine; allegro. Quarta parte: 25 capitoli per 30 pagine; prestissimo. Quinta parte: 11 capitoli per 96 pagine; moderato. Sesta parte: 17 capitoli per 26 pagine; adagio. Settima parte: 23 capitoli per 28 pagine; presto. È così che Kundera crea lo straordinario movimento nei suoi romanzi (nella fattispecie questo), con la logica matematica e musicale al servizio del talento creativo e narrativo. Lo spiega bene nel suo prezioso saggio "L'arte del romanzo", in cui si capisce come l'architettura fondata sul numero sette e la composizione polifonica dei suoi romanzi non sia casuale o tantomeno improvvisata: tutto è ponderato, ed è un lavorone. Lui la chiama 'litania', nel senso della parola che diventa musica e dice - Vorrei che il romanzo, nei suoi brani riflessivi, si trasformasse qualche volta in canto. E qui accade. Anzi, nel primo 'moderato' si trasforma in poesia: "Sono sotto l'acqua e i colpi del mio cuore fanno cerchi in superficie" Al pari del Canetti de "La lingua salvata", questo romanzo è un elogio alla Letteratura e alla Poesia: bello!
Il titolo rimanda ad un verso del poeta Rimbaud, come lo stesso Kundera fa intendere nella quarta parte del romanzo, dove dice: «La vita è altrove, hanno scritto gli studenti sui muri della Sorbonne, citando Rimbaud».
Romanzo di deformazione più che di formazione...quella del poeta Jaromil, stracoccolato virgulto di una madre tentacolare, che da subito trova, nel rapporto simbiotico col suo neonato, la realizzazione di quell'ideale di amore assoluto, frustrato nei suoi rapporti con gli uomini. Ma come spesso capita parlando di ideali anche questo ha il difettuccio di essere utopico, e il guaio peggiore è che il giovane se lo sugge tal quale dal latte materno, e poi lo travasa nelle sue disgraziate relazioni con l'altro sesso, nel suo impegno politico e nelle sue liriche senza curarsi minimamente di filtrarlo attraverso l'esperienza. Come ci avverte lo stesso autore, l'atteggiamento di Jaromil è consimile a quello di molti altri poeti, piccoli universi autoreferenziali circoscritti dall'utero materno, esseri di un eletto sentire in virtù del quale, ogni asserzione guidata da estro ispirato, è immediatamente vera: oro colato. Consigliato.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Rastello, L., L'Indice 1987, n. 8
Strane figure si aggirano in quelle plaghe d'Europa che un inganno semantico, violento e recente, ha voluto orientali figure difficilmente decifrabili al riparo dei luoghi comuni culturali cari all'altra metà del simbolo artificiale "Europa": il cosiddetto Occidente. Tra questi beni rifugio mentali uno, radicato nell'immaginazione giovanile e alimentato da confusi rigurgiti romantici masticati nella cultura di massa, contrappone l'anima solitaria, ribelle e scapigliata del poeta e dell'adolescente ai congegni collettivi disumani meccanici dello stato e di una società sempre più aperta all'intrusione poliziesca. Di far piazza pulita di questo, come di altri luoghi comuni si è occupata, pare, la storia cecoslovacca degli ultimi cinquant'anni. In un paese dove si legge poesia in ogni cantone e dove poetare è da sempre mestiere e, ancor più, dovere nazionale, più esplosivo che altrove è stato l'incontro fra i due atteggiamenti lirici per eccellenza, rivoluzione e poesia, mescolati e condensati come Nitro e Glicerina, nella creazione del più inatteso degli homunculi (altro che professor Chiarelli!): il poeta delatore, il ribelle poliziotto. Quello che Kundera chiama "atteggiamento lirico" è comune a tutte le contrade del mondo e altrove ha gettato i suoi semi e raccolto i suoi frutti, i più nobili e i più infami, ma negli eventi del secondo dopoguerra ceco ha schiuso davanti agli sguardi più acuti la natura micidiale dell'innocenza, il volto assassino dell'adorazione e del rifiuto di conoscenza concretizzato nel gesto politico e poetico che, come l'amore dei sedicenni, è soprattutto specchio e maschera, spazio per rappresentare e indagare se stessi. La vicenda del poeta sbirro, ennesimo sconcertante golem di Praga, è seguita da Kundera in questa prima opera pubblicata nell'esilio francese, composta però intorno al '69 in patria; vicenda inquietante, universale fino all'esemplarità e insieme propria di un luogo e un tempo irripetibili (altra cosa, più facile, fu il tradimento di Eluard che consegnava, rinnegandoli con ostentata purezza di rivoluzionario gli ex amici praghesi ai boia di Stalin: gesto internazionale, dagli effetti a distanza, poetico e lieve in fondo) oggetto di una narrazione tagliente, sofferta e pure divertente, in qualche modo esemplare della traiettoria intellettuale di Kundera, narrazione in cui si penetra più che per altre vie l'enigma storico e politico di un'epoca e di un paese in cui "i comunisti presero il potere per acclamazione di quasi una metà della popolazione. E state attenti: quella metà era la più attiva, la più intelligente e la migliore...; mistero di quella impressionante congiuntura in cui la rivoluzione, certo non un pranzo di gala, si rivelò, tra l'altro, "una trappola per giovanotti".
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