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Niente male. L'ho trovato ben strutturato:una Matrioska con una storia che contiene un'altra storia che contiene un'altra storia.Ma tutte legate tra di lavoro anche se lontane nello spazio e nel tempo. Compito di un romanzo è farti divertire, farti riflettere e, possibilmente, farsi ricordare. Quando almeno due di questi elementi convivono significa che il libro val la pena di essere letto.
Un insieme di parole e frasi che prendono senso solo dopo una bordolese di chianti o eventuali altri espedienti. Bah!
L'arte è la trasmissione di una sensazione e/o sentimento. E' molto complesso in un folle groviglio di frasi e parole, come in questo libro, percepire tali emozioni.
Recensioni
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Maurizio Maggiani ha scritto un libro bello, intenso, composito, come i suoi migliori. Non è un romanzo, se un romanzo ha un inizio e una fine, un qualche sviluppo, personaggi che si presentano in un certo modo e cambiano nel corso della vicenda. È invece un lungo racconto fatto di tanti racconti, se racconto è narrazione di storie e dei personaggi che vi entrano e ne escono immutati, resi fascinosi e leggendari dalla loro stessa immodificabilità. C'è una cornice che raccorda abilmente il tutto e si insinua continuamente in ciò che racchiude: è un viaggio nelle montagne del Sahara, fatto da un etologo che studia le rondini e le aspetta tra i nomadi tagil, sedendo sul tumulo di padre Charles de Foucauld, il grande mistico e studioso francese che tanti anni ha vissuto in quei luoghi, scrivendo meditazioni, liriche, preghiere, qui abilmente e liberamente parafrasate da Maggiani, nonché un imponente dizionario francese-tuareg, della cui suggestione ha dato di recente notizia Carlo Ossola.
L'esperto delle rondini ricorda che, nel mito, da sempre c'è la figura del viaggiatore inarrestabile che va all'appuntamento con un grande e inspiegabile destino. Ne vede uno procedere infaticabile nel deserto, sprovvisto di tutto e fornito solo della sua silenziosa tenacia, e ricorda che un suo amico armeno ne ha visto, pochi anni prima, un altro, una ragazza che viaggiava, inerme e senza parole, per le terre dell'Europa dell'est dilaniata dalle guerre balcaniche e caucasiche. Si apre così il principale racconto interno, il ricordo degli anni trascorsi dal narratore a studiare orsi sulle montagne della Carnia e poi in Bosnia, fino quando a Tuzla, nel giorno della strage di tanti giovani, le tracce della viaggiatrice misteriosa si ricongiungono con quelle trovate mesi prima su un'orsa esaminata dall'etologo sul Monte Canin. La ragazza forse porta su di sé i segni di una antica, mite e sventurata comunità religiosa, quella dei bogomili, degli eretici dolci e senza speranza, del misterioso popolo kubacio di cui un altro viaggiatore, il famoso scrittore polacco Jan Potocki, aveva avuto notizie sul Caucaso, secoli prima, attraversando le terre che oggi un'altra guerra, quella cecena, sta devastando.
Ma, nelle notti del deserto, intorno al fuoco presso cui canta il poeta che ne rallegra i fuochi o nell'ispezione in Bosnia, sul camion del loquace e inarrestabile armeno, il narratore ricorda e racconta anche un'altra storia: quella della sua infanzia ligure (che gli vale l'apostrofe antica e solenne di "genovese" da parte dei suoi interlocutori), di suo padre forte e generoso, "tappollista" aggiustatutto sagace e onesto, che congiungeva nei suoi lavori la funzionalità con la bellezza, siglandoli col motto "a regola d'arte". Ma non basta. Ovunque si posi la parola di chi racconta: sul deserto o sulle terre desolate dell'Europa, sempre scattano sottostorie, percorsi secondari, personaggi minori ma nitidi e affascinanti. Il finale, spostando ancora il luogo da cui narra il protagonista, chiuderà come in una bottiglia infrangibile il vortice delle storie e al contempo ne preciserà il significato di messaggio lanciato nello spazio, di narrazione in cerca di lettori, di racconto fatto perché orecchie palpitanti di curiosità e amore lo ascoltino.
Di qui, dal tentativo di essere all'altezza di una missione comunicativa essenziale e di un uditorio universale, uno dei principali pregi di questo libro: la qualità della lingua, semplice e solenne, lirica e sentenziosa, limpida e misteriosa, come i pensieri del padre Foucauld. "Nuda e scalza di ragione", si legge più volte, è la forza che muove i nomadi che popolano questa sequela di racconti intrecciati; ma in questa irrazionalità c'è la ragione del generoso affabulare, la sua necessità, che fa tutt'uno con l'eleganza della scrittura, la suggestione poetica dello stile, la sacralità del gesto linguistico.
Qualcuno potrà osservare che l'innesto di una storia nell'altra è un po' forzato, pretestuoso, come se Maggiani avesse voluto mettere in uno solo più libri. Ma, a parte che questa è un po' la caratteristica ricorrente di uno scrittore naturalmente dissipato e prodigo, bisogna dire che qui la pluralità dei racconti, dei luoghi, dei personaggi, delle storie, la loro stessa distanza temporale e soprattutto geografica, la diversità che passa tra l'aggressione di un odio inspiegabile e la pace del deserto (dove però il santo padre Foucauld venne barbaramente trucidato) sono la sostanza stessa di questo Viaggiatore notturno, tutto movimenti, linee che si intersecano e si allontanano, unite e animate dalla voglia di capire l'uomo e il suo destino, la sua ferocia e la sua bontà. Storie di tormenti, di aspirazioni, di generosità, di violenze che solo nell'utilità della semplice, nuda bellezza del creato sembrano trovare una commossa pacificazione, come tra amorose mani a nido una rondine spaventata o sotto un paterno noce un'orsa in fuga o nel bivacco del deserto un uomo che deve svuotarsi del suo dolore.
Vittorio Coletti
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