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Un libro di tenace ironia, una prova di vivida ed elegante comicità, nelle cui pagine si ride di cuore, apertamente.
«Un attendibilissimo spaccato della società meridionale del secondo dopoguerra. Ironia feroca e divertimento dal principio alla fine» – Camilla Cederna, Corriere della Sera
«Questo libro di Luisa Adorno racconta che cosa è una prefettura, che cosa è un prefetto. E lo racconta con una vivacità, un'ironia, un brio da far pensare a certe pagine di Brancati» – Leonardo Sciascia
«La storia che racconto nell'Ultima provincia – così Luisa Adorno dichiara in un'intervista del 1983 – è assolutamente autobiografica, frutto di una lunga convivenza con la famiglia di mio marito, che è siciliano, alla fine della guerra; dopo una giovinezza abbastanza drammatica e dominata dalla guerra, sposai questo ragazzo che era il figlio (unico) di un prefetto siciliano. Mi scontrai subito con una realtà diversa dalla mia: fummo costretti a dividere la nostra casa con mio suocero, e lì tentai, con quel senso dell'umorismo classico di noi toscani, di ottenere una mediazione a questo stato di fatto. Cominciai così a prendere appunti su tutto ciò che avveniva in casa, riempii quaderni interi, ed alla fine decisi di condensare il tutto in un romanzo. Ebbe un discreto successo. Molti critici si occuparono del libro; gente come Pedullà o Sciascia dissero che veniva riportato fedelmente, al punto che arrivavano a riconoscervisi personalmente, il ritratto di una famiglia tradizionale meridionale, con i suoi rapporti strettissimi, con i drammi dei figli oppressi dalla famiglia, dalla madre, dalle maglie di lana, dalle sciarpette e così via. Il quadro, come si vede, è quello di una Sicilia che forse non esiste più; forse proprio questa però può essere una possibile chiave di lettura per il lettore di oggi». Nei ricordi di una sposina, dei suoi primi anni di matrimonio nella casa del suocero; nelle scenette irresistibili delle manie familiari, dell'idioma e dei modi di dire; nei rituali del cibo, si rifletteva il destino storico dell'Italia del dopoguerra. Entrato nel catalogo Sellerio nel 1983 un libro di tenace ironia, una prova di vivida ed elegante comicità, nelle cui pagine si ride di cuore, apertamente.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Siamo all'interno della famiglia di un prefetto siciliano del dopoguerra. Lo sguardo acuto e ironico dell'autrice toscana mette in luce aspetti tradizionali, ancorati ad un passato che si perpetua. Una lingua desueta, quella di quest'opera, popolata, qua e là di parole dialettali e buffi intercalari. Un documento "politico" in forma di romanzo.
Luisa Adorno, nel delineare la storia familiare del marito, descrive le frequenti incursioni nella loro terra natale alle pendici dell’Etna e avvolge il lettore con sapori e profumi della Sicilia di metà del secolo scorso. La lingua non è sfarzosa ma mai piatta e banale, in alcuni casi le descrizioni delle personalità sono tratteggiate facendo ricorso a qualche tic linguistico o battuta ricorrente. Il finale brusco fa presagire il seguito, che l’Autrice scriverà diversi anni dopo.
Non conoscevo l’autrice ( leggo ora che è morta poco prima dei 100 anni) e nemmeno i suoi scritti, ma sono stata incuriosita da questa pubblicazione di Sellerio (la prima stampa risale al 1982) Libro autobiografico, narra le vicissitudini di una giovane ragazza, toscana e comunista, sposa del rampollo, unico figlio maschio, di un Prefetto di una città siciliana. Un libro che diverte pur trattando differenti temi e che mette a confronto idee e pensieri diversi e diversi modi di affrontare la vita (dai pranzi e l’alimentazione, al risolvere problemi di salute, ad allattare la piccola intanto venuta al mondo) e che attraversa la vita della protagonista che si lascia benevolmene coinvolgere dalla nuova vita.
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