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Regalato da chi l'ha ritenuto durante l'adolescenza un romanzo da formazione. Io ahimè non sono più adolescente, ma lo consiglierei: trasmette realmente quella fatica di vivere, quel sentirsi costantemente giudicati dagli adulti, quel sentirsi un pesce fuor d'acqua. (Tutto questo anche da adulti...)
Libro d’esordio per Giuseppe Culicchia, un romanzo che non invecchia nonostante siano trascorsi più di vent'anni dalla sua prima uscita. Essere ventenni, del resto, era ed è così, soprattutto in un mondo in cui c’è sempre meno spazio per i giovani e in cui le apparenze continuano ad avere un’importanza primaria. E così il giovane Walter potrebbe benissimo essere uno studente del giorno d’oggi, e la sua storia non sarebbe poi tanto diversa da come è stata raccontata su queste pagine. Questo fa davvero riflettere e credo che, proprio per questo motivo, questo libro vada ancora letto, e riletto.
Giuseppe Culicchia esordisce nel migliore dei modi e lo fa con questo libro. La lettura scorre veloce e si entra con facilità nella vita di Walter.
Recensioni
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Dissacrante e irriverente, Tutti giù per terra è una magnifica moderna commedia dell’arte, con personaggi-maschere e situazioni che oscillano tra il tragico e il comico, trasposta sul grande schermo nel 1997 da Davide Ferrario con protagonista un giovanissimo Valerio Mastandrea.
Un girotondo di esperienze, di sentimenti e di fallimenti. Walter, ormai ventunenne, non può più permettersi di giocare con la propria vita, rimandando i suoi doveri e ostinandosi a trascorrere le sue giornate da esemplare perditempo: il rischio, è quello di non essere più in grado di risollevarsi.
Apatia e passività sono i tratti della personalità più rilevanti nel ragazzo, appartenente a una generazione divisa tra ambiziosi arrivisti - il cui unico obiettivo consiste nell’accumulare quanti più soldi possibile - e giovani senza alcuno scopo, che dissipano gli anni migliori della loro esistenza tra droghe sintetiche, assordante musica house ed effimeri desideri impregnati di ideologia consumistica. È il ritratto dell’Italia sul finire degli anni ’80 ma anche quello, romanzato, dell’autore: è l’anno del primo Salone del Libro di Torino, è il momento spartiacque in cui Giuseppe Culicchia, prossimo esponente del cannibalismo letterario, incontra Pier Vittorio Tondelli, suo futuro mentore.
Questo romanzo consente di ridere delle disgrazie altrui senza sentirsi in colpa: Walter è come tutti noi, e lo comprendiamo alla perfezione. Le incertezze sull’avvenire, la svogliatezza post-adolescenziale e la costante sensazione di non conoscersi, sono manifestazioni quotidiane che toccano un po' tutti. Non si tratta solo della situazione perennemente precaria di molti giovani, ma anche di fenomeni "esterni" come l’immigrazione e la discriminazione razziale e sociale: i brani dedicati all’inserimento dei bambini zingari nelle scuole cittadine - ad esempio - sono spassosissimi e ribaltano in chiave sarcastica gli intramontabili luoghi comuni associati a queste popolazioni.
Tra acronimi umoristici e al contempo significativamente allusivi ed espedienti stilistici orientati al paradosso e all’esagerazione, Giuseppe Culicchia ha creato una piccola (per il numero di pagine, non per natura) pietra miliare della letteratura contemporanea italiana. E non manca la classicità dell’ideale dantesco della ricerca della propria Beatrice, sconvolta, proprio sul più bello, da una defaillance tra le lenzuola...
Al termine della lettura resta l’amarezza per una vita non totalmente governabile e la scoperta - al contempo -, della possibilità di non lasciarsene sopraffare: un protagonista che sconforta e incoraggia, sgomenta e consola è singolarmente rassicurante.
Recensione di Martina Barlassina
Ringraziamo il Master Booktelling per la collaborazione
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