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Bello bello. Ero stata conquistata da "Alle case venie" e anche questo seguito è molto intenso e coinvolgente. Romana Petri ha un modo di scrivere che appassiona...
La scrittura di Romana Petri sostanzialmente mi piace, perchè scrive di sentimenti e lo fa bene e ne suoi romanzi trovo sempre molti spunti di riflessione e frasi che non posso fare a meno di sottolineare. Ma in questo romanzo l'ho trovata un po' troppo ridondante. Troppi ricordi, sempre gli stessi, ripetuti..insomma, il primo aggettivo che mi viene in mente ripensando a questo romanzo è "troppo". Ma la storia, che per tutta la prima parte tarda ad ingranare e sembra quasi inconsistente, a un certo punto si forma e si dipana tutta nella terza parte, l'unica che ho letto con trasporto e vera emozione, ed è una storia bellissima.
Un romanzo scorrevole senza infamia e senza lode. Ci mette un po' a partire e a prendere il lettore, bella la storia d'amore tra i due protagonisti, interessante il personaggio di Toni ma per il resto la storia è un po' strampalata, non si capisce bene dove voglia andare e cosa voglia dimostrare. La brutalità del capitolo sul trattamento a figlia e fidanzato sconvolge ma poi il personaggio di Buena viene abbandonato così, si torna all'amore tra i due protagonisti quasi a voler chiudere per forza un cerchio.. che fa fatica a chiudersi. Anche se a tratti mi è piaciuto, alla fine non lo consiglierei.
Recensioni
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Li avevamo lasciati sulla soglia di un cambiamento importante, Alcina e Spaltero, protagonisti del romanzo Alle Case Venie, che Romana Petri pubblicò nel 1997. Ci avevano conquistato, da subito: lei un po' maga, come vuole il suo nome ariostesco; lui solido, leale, attaccato alla sua terra, ma con un insopprimibile desiderio di mare. Avevano condiviso un'esperienza di quelle che cambiano la vita, la lotta partigiana combattuta sul Pausillo, nelle montagne umbre, durante l'inverno del 1944; ma poi si erano separati, Spaltero in Argentina a cercare di realizzare il suo sogno, Alcina lì, alle Case Venie, vestale di una dimora popolata dai fantasmi dei suoi familiari. A tenerli ancora uniti, sulla soglia estrema di quel distacco, un bacio e una promessa.
Sono i fili di cui la scrittrice si è servita per traghettarli in questo suo nuovo romanzo che si intitola Tutta la vita, in omaggio al compiuto adempimento di quella promessa. Con la tempra combattiva che la contraddistingue, Romana Petri dà battaglia a quell'inveterato luogo comune che considera gli amori fragili o infelici quelli più artisticamente interessanti, e la vince: questa è un'appassionante storia di amore vero, radicato in profondità e, nello stesso tempo, di intenso respiro epico. Nella prima parte del romanzo è Alcina a scendere in campo, servendosi dell'amore che prova per Spaltero come di un grimaldello per scardinare le proprie ossessioni: la paura della morte, l'estrema ritrosia a staccarsi dal passato, il rifiuto di immaginarsi un futuro, quasi fosse un tradimento nei confronti dei suoi familiari. Quel "sapore di eterno" che le ha lasciato il bacio di Spaltero ha innescato una metamorfosi che non è solo fisiologica o sentimentale, ma anche e soprattutto psicologica e mentale, laddove Alcina constata, con ironica lucidità, il paradosso che è stata finora la sua vita per cui ora lei, a più di trent'anni, deve lasciarsi "la vecchiaia alle spalle".
È una donna nuova, quella che nell'estate del 1948 approda in Argentina, in compagnia di un cane poco addomesticabile; una donna pronta a conoscere la pienezza dell'amore e ad affrontare la maternità, nonostante continui a essere una ferita aperta il ricordo di sua madre morta nel dare alla luce Aliseo. E fin dalla nascita, si intuisce la speciale essenza di sua figlia Buena, diminutivo di Buenaventura: questa "buona sorte" che ha lo sguardo impavido di una Floria Tosca è amatissima non solo dai genitori, che vedono in lei un potenziamento delle loro individualità, ma anche da un altro personaggio importante nella struttura della storia, Toni, il cugino di Spaltero che diventa grande amico di Alcina. Toni unisce alcune delle caratteristiche di persone care ad Alcina, come il vecchio amico d'infanzia Bitto e Aliseo, il giovane fratello fucilato dai nazifascisti, alla sua specifica natura di uomo che è stato ferito dalle relazioni affettive e si rifiuta di considerare la sua scrittura come piacevole dolcificante pronto all'uso (come vorrebbe sua moglie Francisca, donna e pittrice di assoluta superficialità), concependola piuttosto come strumento di impietosa chiarezza. Sarà proprio Toni a esercitare un influsso profondo sulla natura coraggiosa di Buena, all'interno di un contesto politico che finisce per risultare tragicamente paradossale: la dittatura fascista contro cui avevano combattuto Spaltero e Alcina si è riformata, diversa nella formulazione ma sinistramente simile nelle caratteristiche strutturali, in quella che ormai considerano la loro terra, l'Argentina. È un potere estremamente subdolo, quello del generale Videla: mantiene intatta la facciata del paese, mentre risucchia i giovani nel buio senza scampo della tortura e della morte. E se non rimane che la scrittura come ultima arma il romanzo che Buena, appartenente a quella generazione intrappolata e risucchiata dalla storia, progetta di scrivere sugli orrori della dittatura, ma anche sull'amore, sull'amicizia, su quelle battaglie fatte in nome della libertà che accomunano i giovani italiani e argentini allora anche il linguaggio dovrà farsi carico della sfida.
Ricorrendo alle risorse dell'espressività epica, così poco usate nella letteratura di oggi e così vitali, Romana Petri che sta scrivendo quel romanzo progettato da Buena riesce a conferire un sapore di nobile, antica lealtà all'intera gamma dei sentimenti e delle idee. L'amore non ripara solo nel cor gentile, ma in un "travolgimento sensuale di bocche e di anime" che viene espresso attraverso metafore e clausole ritmiche attinte alla ritualità del duello; i dialoghi risultano confronti e scontri di idee in cui prevale non chi fa la mossa più astuta, ma quella più ardita e dunque spiazzante; il ricorso agli epiteti fissi, caratterizzando fortemente i personaggi, li rende indimenticabili: la "bruscheria" di Alcina, la risata "di sbieco" di Spaltero, il sorriso "da rettile" di Toni, lo sguardo "d'un nero senza scampo" di Buena. Ma non è soltanto per i suoi protagonisti, né per la potente tensione emozionale che lo anima o per il suo fiero linguaggio che questo romanzo può definirsi epico: la scena finale mostra con ogni evidenza che la sfida più radicale consiste nel reinventarsi, in mezzo alle ferite della psiche e alle macerie della storia, una nuova possibilità di futuro.
Maria Vittoria Vittori
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