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Brizzi mi è sempre piaciuto come narratore, ma "Tu che sei di me la miglior parte" mi ha deluso. Dopo un primo capitolo molto bello e a tratti poetico, quello sul padre di Tommy, la vicenda si fa via via più pesante e sgradevole. Le descrizioni delle innumerevoli volte che il protagonista fuma con i suoi amici tutti i tipi di droga più o meno leggera risultano troppo lunghe, compiaciute e senza alcun'ombra di disapprovazione (anzi); non manca una certa dose di violemza, e non ultima una certa insistenza sul sesso in tutte le sue declinazioni, non priva di una certa volgarità. La stessa conclusione è ambigua e deludente, in linea con buona parte del testo, inutilmente lungo (500 pagine che non filano affatto via, e un po' troppo puzzolenti di "erba"). Speravo in un erede del bellissimo "Jack Frusciante è uscito dal gruppo", ma la freschezza di Alex del libro d'esordio di Brizzi è lontana anni luce dalle torbide vicende di Tommy. Peccato.
Ho letto tutto Brizzi. Cose note, meno note, famose, meno famose. Questo e' un buon romanzo, occhei non uno dei lavori miglliori dell'autore, ma comunque interessante, scorrevole, ben scritto, come sempre.
Ho letto tutti i libri di Brizzi e il mio cuore è legato per sempre a "Jack Frusciante è uscito dal gruppo", ma in questo libro ho ritrovato un pò del vecchio Alex e degli altri personaggi della banda. E' un libro che si divora, con un linguaggio semplice e che arriva soprattutto ai più giovani. Ho amato l'intrecciarsi delle vicende tra i personaggi, la descrizione dei protagonisti. E' uno di quei libri che, una volta chiuso, avrei voluto ricominciare.
Recensioni
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Benvenuti nei favolosi anni ’80! Gli anni dei paninari, della contrapposizione forte tra musica commerciale e di tendenza, tra il punk-rock e la balera. Gli anni delle videocassette e delle audio-compilation personalizzate con dedica. Chi ha calpestato la propria adolescenza in quel periodo, non potrà che ritrovare in questo romanzo qualche compagno di classe, qualche luogo, qualche gesto che non sia stato anche proprio. Gli interminabili conflitti familiari, le prime pulsioni ed i primi veri amori; la vespa, la sensazione di immortalità e la rabbia cieca ed immotivata. Poi la brutale finestra che si affaccia su un mondo più scuro; quello delle prime droghe, dello spaccio e dell’etica violenta dello stadio.
Ciò che Tu che sei di me la miglior parte descrive impeccabilmente è proprio il cammino evolutivo di un gruppo di amici d’infanzia fino alla maggior età, facendo perno sul più classico degli stereotipi: lui-lei-e-l’altro. Amici e nemici, buoni e cattivi, bene e male mescolati energicamente fino ad amalgamare un controverso triangolo sentimentale tanto irrinunciabile quanto difficile da accettare. Ma crescere è complicato e la scuola della vita spesso induce a percorrere strade poco chiare e lineari; a camminare in equilibrio sul sottilissimo filo dell’incoscienza senza curarsi delle etichette e dei formalismi. E’ la logica del branco, ma anche quella delle mode paninare. Uniformarsi o distinguersi per emergere. Vale tutto. Anga sgevù!
Nonostante il titolo -ma anche le prime pagine- che indurrebbe ad aspettarsi semplicemente un morbido intreccio di inseguimenti amorosi e avventure liceali, Enrico Brizzi usa violenze da ultrà e rapporti turbolenti per far emergere, in realtà, quanto la forza di legami veri possa resistere all’instabilità ed alle difficoltà dell’adolescenza. Oltre 500 pagine che filano via, nella Bologna della Uno bianca e dei techno-party, delle contraddizioni da parrocchia e quelle da stadio, con un linguaggio fedele agli ’80, mixato con realistiche inflessioni regionali e formule all’apparenza un tantino evolute e ricercate per far parte di quell’età.
Ne uscirete un po’ acciaccati e puzzolenti d’erba… ma ne vale la pena.
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