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I tredici passi - Mo Yan - copertina
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tredici passi

Descrizione


Pubblicato nella primavera del 1989, poco prima dei fatti di piazza Tiananmen, I tredici passi appartiene a quella vena farsesca e surreale di Mo Yan che ritroveremo nel Paese dell'alcol. Con le sue atmosfere bulgakoviane, cosí lontane dalla tradizione cinese, questa sarabanda grottesca, strafottente e blasfema fa emergere alcune delle profonde contraddizioni in cui si dibatteva in quegli anni la società cinese.

Stremato dalla fatica, il professor Fang Fugui, che insegna fisica in un liceo, muore mentre è in cattedra. Il suo corpo viene portato alle pompe funebri «Belmondo» dove il chirurgo plastico Li Yuchan dovrebbe prepararlo per la cerimonia. Ma poiché è impegnata a rendere presentabile il vice sindaco della città, suo ex amante (deve renderlo magro per dimostrare lo stile di vita frugale dei dirigenti del partito), il corpo del professore viene messo in attesa in una stanza frigorifera. Qui resuscita e fugge. Sulla via di casa, cade in un cantiere aperto e si ricopre completamente di calce; la moglie, credendolo un fantasma, lo caccia. Allora bussa alla porta dei vicini che sono Zhang Hongqiu, professore di fisica nel suo stesso liceo, e sua moglie, Li Yuchan, il chirurgo plastico delle pompe funebri. Poiché preferiscono saperlo morto, per farne un emblema della triste condizione degli insegnanti, i tre dirigenti della scuola decidono di dare a Fang i connotati di Zhang (grazie alle abilità chirurgiche di Li Yuchan), con l'intesa che andrà a insegnare al liceo al suo posto, mentre il secondo cercherà di far soldi dandosi agli affari a beneficio delle due famiglie. Assunte le nuove sembianze, Fang forza la propria moglie a fare l'amore con lui; la donna, credendo di essere stata violentata dal vicino, si deprime e finisce per annegarsi nel fiume. Zhang passa innumerevoli peripezie cercando di darsi al commercio delle sigarette e alla fine si convince che il suo posto è l'insegnamento. Tutt'altro che a proprio agio nella nuova identità, Fang tenta di tornare come era, poi disperato cerca di impiccarsi con la cinta dei pantaloni. Proprio in quel momento vede un passero ferito che avanza verso di lui; ne conta i passi e arriva sino a dodici: secondo un'antica leggenda vedere zampettare un passero è di buon augurio, il primo passo porta ricchezza, il secondo potere, il terzo fortuna con le donne e via di seguito fino al dodicesimo. Ma se lo si vede compiere il tredicesimo tutto il bene si capovolge trasformandosi in tragedia...
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Dettagli

2019
11 giugno 2019
376 p., Rilegato
9788806218553

Valutazioni e recensioni

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Paolo
Recensioni: 2/5
Uno sproloquio

Storia talmente piena di doppi sensi da non averne nessuno. Due stelle perché ogni tanto si ride. Sono disposto a riconoscere una cifra a chi mi mostra un significato a questa sarabanda di immagini e parole.

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valeria71
Recensioni: 3/5

Questo è un libro per pochi, anzi pochissimi. Certo è ben scritto, ma mi è parso un delirio onirico, grottesco e, a volte, esageratamente nauseante al punto da dover interrompere la lettura. Eppure l’ho letto con velocità, spinta dalla curiosità morbosa su dove l’autore volesse andare a parare. Alla fin fine ho avuto la stessa sensazione che provo davanti ad alcuni padiglioni della biennale d’arte: non capisco, anzi mi raccapriccio, ma guardo ogni cosa.

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Franca
Recensioni: 4/5

Sono rimasta allibita rispetto alla vicenda del professor Fang Fugui, il cui racconto di vita è perfettamente evidente tra le pagine di questo romanzo. Mi sono piaciuti i doppi sensi. Eleganza e strutture narrative validamente costruite rendono la lettura davvero avvincente.

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Voce della critica

Sogno, incubo. Cruda realtà. Affluenti di un unico fiume narrativo chiamato Mo Yan. Il Nobel cinese per la Letteratura gioca con il lettore, affascinandolo e spiazzandolo, nel suo I Tredici passi (364 pagine, 21 euro), pubblicato da Einaudi nella traduzione di Maria Rita Masci. Il romanzo, che arriva solo adesso in traduzione italiana malgrado risalga al 1989, vela tra le pieghe del racconto – come sempre avviene nelle opere di Mo Yan – una sofferta riflessione sociopolitica sul Paese del Dragone, dove l’individuo è spesso “secondo” rispetto alla ragion di Stato. Può quindi succedere che un professore di Fisica, vittima di un caso di morte apparente, non possa … ritornare in vita perché danneggerebbe il Sistema.

Protagonista, suo malgrado, è Fang Fugui. Lui si accascia in classe, mentre insegna ai suoi alunni, e subito viene eletto a simbolo di dedizione al lavoro. Il Liceo Numero Otto ha bisogno di fama e, soprattutto, di risorse. Nulla di meglio, quindi, che poter esibire un trapasso eroico. L’autore, capace sempre di scrivere prosa accarezzando la poesia, fissa sulla carta così quel momento fatale: «Il volto magro ricoperto di gesso grigio dell’eminente professore di Fisica Fang Fugui, che aveva un’espressione piena di gioia come se fosse su un palcoscenico, si imperlò improvvisamente di grandi gocce di sudore, gli occhi si fecero vitrei e le labbra esangui; emise uno strano suono gutturale, simile al grido di un uccello, e agitò le braccia, come un gallo che scuota le ali prima di cantare. Gli studenti stavano quasi per gridare quando accadde l’irreparabile… Un attimo dopo uno stormo di passeri si abbatté violentemente contro i vetri della finestra mandandoli in frantumi e cominciò a volare caoticamente dentro l’aula cinguettando».

Dopo tanta fine, servono esequie solenni. Il partito lo richiede. E il preside del Liceo gongola all’idea, accompagnando il “presunto cadavere” nella struttura pubblica dove l’imbalsamatrice Li Yuchan prepara i corpi per l’estremo saluto ma solo in occasioni importanti. Il “Belmondo” serve unicamente ai funerali di Stato. Fang Fugui, però, è un morto di serie “A2”. Viene scavalcato dall’eccellente cadavere del vicesindaco Wang e dimenticato in una cella frigorifera, da cui riesce a fuggire. In questo modo, inizia la tragicomica (molto tragica, poco comica) avventura di un “resuscitato” che il mondo deve ignorare. Inizia male, per il prof. Finisce peggio. Ecco servito un capolavoro del grottesco, sintesi perfetta di un genio letterario del nostro tempo.

Recensione di Gerardo Marrone

 

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Conosci l'autore

Mo Yan

1955, Gaomi (Cina)

Pseudonimo dello scrittore cinese Guan Moye, Premio Nobel per la Letteratura nel 2012.Mo Yan significa, «colui che non vuole parlare» ed è una sorta di risposta scherzosa alla nonna che lo zittiva sempre.Fondatore del movimento letterario «Ricerca delle radici», è considerato il più rilevante scrittore cinese contemporaneo. Dalla sua scrittura evocativa e potente emerge l’anima senza tempo della grande civiltà cinese, impregnata di poesia, di violenza, di sentimenti primigeni.Mo Yan, originario di Gaomi nella provincia dello Shandong, nasce da una famiglia numerosa di contadini poveri e, dopo aver terminato i cinque anni delle scuole elementari, smette di studiare. In principio porta al pascolo mucche e pecore e i suoi rapporti con...

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