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banale, tutte le donne sono sovrapponibili per quanto poco è approfondita la loro personalità mentre gli uomini sono angeli in terra. lo scrittore è chiaramente misogino, inoltre supporta lo sterminio del popolo palestinese. fate un favore a voi e agli alberi evitando di comprarlo.
Una buona lettura, introspettiva e avvincente. Riflessioni in cui è impossibile non ritrovarsi. Tre piani tre livelli delle profondità umane tre storie. Di ordinaria amministrazione, nel suo più umano significato
Un libro molto molto bello. Profondo e che va a toccare molti temi interessanti
Recensioni
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“Capisci, Sigmund Freud era un uomo molto intelligente ma (...) un errore l’ha fatto. I tre piani dell’anima non esistono dentro di noi. Niente affatto! Esistono nello spazio tra noi e l’altro, nella distanza tra la nostra bocca e l’orecchio di chi ascolta la nostra storia. E se non c’è nessuno ad ascoltare, allora non c’è nemmeno la storia. Se non c’è uno così, a cui svelare segreti, con cui sciorinare ricordi e consolarsi, allora si parla con il segretario elettronico, Michael. L’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce”.
In questa frase, tratta dalla sua uscita più recente (Tre piani, 2017, Neri Pozza) si potrebbe racchiudere tutta l'opera di Eshkol Nevo, come in un manifesto di poetica: c'è il suo stile colloquiale, la capacità di dare voce ai personaggi, la delicata invenzione verbale, le fondamenta psicanalitiche e l'architettura narrativa; soprattutto, c'è la fiducia che una storia si possa raccontare, e la necessità che ci sia qualcuno da entrambi i lati del racconto.
La biografia di Eshkol Nevo (Gerusalemme, 1971) ricalca il percorso dello scrittore – occidentale, alto borghese – di successo: gli studi un po' in patria un po' negli Usa, la laurea in psicologia, il lavoro da copy in un'agenzia, poi abbandonato quando le vendite dei libri glielo hanno permesso, i romanzi (cinque finora), i progetti collaterali (una raccolta di racconti, un libro per ragazzi, un saggio, un film ), le lezioni di scrittura creativa. I libri di Nevo sono stati tradotti dappertutto, ma se non vado errato, l'Italia è l'unico paese dove i suoi romanzi sono stati pubblicati tutti.
Narratore come pochi, ecco come Nevo aggancia il lettore con l'incipit in Tre piani: “Quello che sto cercando di dirti è che, al di là della sorpresa, c’era un’altra questione di cui io e Ayelet non osavamo parlare: il fatto che in qualche modo sapevamo – dovrei dire sapevo – che poteva succedere. I segnali erano lí da sempre, ma preferivo ignorarli. Troppo comodo, una coppia di vicini che ti tengono la bambina. Pensaci”.
Ma la sua sapienza non è solo tecnica. La principale caratteristica del suo modo di raccontare è l'uso quasi esclusivo della prima persona. Che però cambia, si sposta di personaggio in personaggio. Già matura nell'esordio di Nostalgia(Neri Pozza 2004, traduzione di Elena Loewnenthal e revisione di Raffaella Scardi), questa modalità raggiunge livelli vertiginosi nel suo libro a oggi più compiuto Neuland (Neri Pozza 2011, traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi), storia epica di oltre seicento pagine in cui non sono soltanto i protagonisti a prendere la parola, ma anche le comparse, quasi tutti quelli che calcano la scena hanno il microfono in mano almeno una volta.
È il caso di insistere: non è solo questione di tecnica – pur prodigiosa, visto che spesso i passaggi da una voce all'altra sono rapidissimi, e data la necessità comunque di tirare le fila della storia in modo comprensibile, anzi coinvolgente. Viene in rilievo la capacità umana di Eshkol Nevo di calarsi nel punto di vista degli altri, peggio di assumere su di sé, di farsi carico di vissuti e sentimenti lontanissimi dalla propria esperienza. L'alternarsi di voci si attenua in Tre piani, ma resta notevole la capacità di mettersi nei panni: due voci narranti sono di donne; la terza voce è maschile, anzi machista, si scoprirà un po' alla volta, e anche qui l'identificazione non era proprio immediata.
Identificazione che, in genere, Nevo crea non solo tra sé e il personaggio, ma – ed è poi lo scopo finale – tra personaggio e lettore. La riuscita dipende anche da un fattore, per così dire, generazionale. Nevo è del '71, in Italia lo definiremmo ancora giovane: è comunque della generazione successiva a quella della santissima trinità Yeoshua-Grossman-Oz. Lui, e i suoi protagonisti giovani, li vediamo fare le stesse cose che abbiamo fatto noi figli della classe media agiata occidentale: gli studi universitari rilassati; i viaggi zaino in spalla, avventure tutto sommato protette; il gusto di certe letture e certe musiche, l'attrazione verso l'introspezione e la psichedelia; il sogno che qualcosa, o tutto, potesse cambiare... E di contro, questa identificazione è salutare, direi necessaria, per consentirci di saltare il fosso che ci separa da certe realtà ebreo-israeliane lontane anni luce dal nostro quotidiano: quanti di noi hanno avuto tutta la famiglia deportata in un treno con le porte piombate? Quanti, dopo aver fatto tre anni di leva obbligatoria, sono stati richiamati nell'esercito e si sono trovati incastrati all'interno di un carro armato che va a fuoco?
Questo ci porta dritti a un'altra dicotomia all'interno della quale si muove l'opera di Nevo: quella tra grande Storia e piccole storie. Una cosa che la storia, e la cronaca, di Israele rende quasi inevitabile. Ma lo scrittore sa sovrapporre i due strati in maniera mirabile, fino a farli coincidere: senza che la Storia diventi metafora, senza che le storie diventino un pretesto per pontificare di politica. Neuland è la vicenda, tra le altre, di un figlio che gira il Sudamerica alla ricerca del padre, il quale soffre di un trauma post-bellico scoppiato con trent'anni di ritardo. Quando Dori lo trova, in Argentina, scopre che ha fondato una colonia laggiù, una mini utopia dis-cronica (Altneuland, vecchia-nuova-terra, era lo scritto del 1902 di Theodor Herzl, la fondazione mitica del sionismo). Ecco come si intrecciano tragedie millenarie e piccoli drammi familiari, senza che nessuno dei due sembri fuori luogo.
E ancora, altra unione di opposti su cui si muove in equilibrio Nevo: tradizione e innovazione. Da una parte, come si è appena visto, rottura degli schemi: invenzioni a più voci, sperimentazioni linguistiche, shift temporali da capogiro (sempre in Neuland), labirinti sottili. Dall'altra una solidità quasi classica, una fiducia infinita che la realtà esista, e che sia raccontabile: un atteggiamento, non saprei dire altrimenti, ottocentesco.
Esempio di labirinto invisibile. Tre piani: l'ultimo arrivato sembra più banale, quasi un passo indietro. Sembra il classico romanzo di racconti, anzi tre racconti legati insieme dal mero pretesto di essere ambientati nello stesso palazzo. Ma più si va avanti e più si scoprono corrispondenze segrete, echi, suggestioni, leitmotiv: più che tre storie che si incastrano e si completano, si finisce per supporre che siano la stessa storia raccontata in tre modi diversi (e oltre non è il caso di rivelare).
Infine, la questione che tutti i lettori, dall'inizio, si pongono: la questione palestinese. E qui la dicotomia tra rimozione e catarsi, tra tabù e sua infrazione, è sia esterna che interna all'opera di Nevo. È lo stesso scrittore a dichiarare: “la versione palestinese del conflitto è un vero e proprio tabù nella società israeliana”. E racconta la curiosa situazione per cui, siccome Nostalgia fa parte del programma di esame alla maturità, quando studiano letteratura i ragazzi apprendono il punto di vista palestinese; poi passano ai libri di storia e a quel posto trovano un buco, una censura. In Nostalgia, una delle strazianti vicende è quella di un palestinese che abitava nella casa dove vivono i protagonisti, e dalla quale la sua famiglia è stata cacciata quando i coloni ne hanno preso possesso (così "funziona"); l'uomo vorrebbe tornarci, anche solo per cercare un oggetto caro alla mamma. Scandalo, sale sulla ferita, contestazioni e urla ogni volta che Nevo parla in pubblico. Eppure: lui stesso non sfugge alla rimozione, in altri luoghi della sua opera. In tutto il tomo di Neuland, per dire, le occorrenze del termine “palestinese” si riducono a una; e una sola volta compare il termine “arabi”, e quasi per sbaglio. In Tre piani, vengono nominati a un certo punto “due drusi”, e per citare un episodio di violenza sessuale.
Il fatto è indicativo. Di quanto anche una voce critica, che senza giri di parole nomina il fallimento di Israele, possa consciamente o meno sorvolare sulla questione palestinese – una questione che laggiù è vita e ansia quotidiana da settant'anni – e descrivere quel fallimento come una cosa tutta interna. E di quanto ci aspettiamo di trovare nei prossimi libri di Eshkol Nevo.
Dario De Marco
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