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Molto bello questo fumetto di Gipi che ci porta originalmente in un'Italia postapocalittica caratterizzata da bizzarri personaggi, che, in fondo, sotto la loro scorza celano sentimenti umani basilari. Interessante il linguaggio parlato dai protagonisti, in un italiano talvolta punteggiato da certe coloriture dialettali o altro.
"La terra dei figli" è un romanzo a fumetti di genere drammatico-distopico pubblicato nel 2016 dal fumettista, illustratore e regista italiano Gipi, pseudonimo di Gian Alfonso Pacinotti. Si tratta di una storia post apocalittica, in cui l'ideatore, attraverso il racconto e i disegni, ci descrive un prossimo futuro post catastrofe, che non è altro, poi, se non la proiezione esasperata del nostro presente. Non si conoscono i motivi che hanno portato alla fine del mondo, si affretta a precisare l'autore proprio a inizio del volume; sappiamo solo che la fine della civiltà è arrivata, ma non sappiamo il come. La società non esiste più. L'aria è satura di mosche. L'acqua è colma di cadaveri e di veleni. Ogni eventuale incontro tra i sopravvissuti della civiltà può risultare assai pericoloso. In questo desolante scenario, dalla loro baracca in riva al mare, un padre e due figli ragazzini, tra i pochi superstiti rimasti, dovranno lottare quotidianamente per la loro sopravvivenza. Ogni sera, poi, il padre annoterà qualcosa su un quaderno. I figli vorrebbero imparare a leggere, per scoprire, dal quaderno stesso, qualche cosa del passato e della loro madre. Il genitore, tuttavia, negherà sempre... Che altro dire? La storia è "selvaggia", un po' come lo è d'altronde il suo autore. Inoltre, il fulcro di essa potrebbe avere il sapore di un qualcosa di già visto. Nonostante ciò, si tratta comunque di un'opera di ampio respiro, dove Gipi - rinunciando volutamente, sin dall'inizio, a ogni colore e voce fuori campo, con l'uso solo di uno scevro bianco e nero, carico di tratteggi, in presa diretta - tenta di andare diritto al cuore di personaggi difficilmente dimenticabili, nei quali possiamo intravedere, sempre portati all'estremo, i nostri desideri, le nostre fragilità, le nostre paure e la nostra capacità di amare, marchi scelti degli esseri umani, anche in un mondo in cui la società non esiste più. Non un capolavoro, questo romanzo grafico; comunque, però, un ottimo prodotto!
Gipi è sicuramente uno dei migliori fumettisti attualmente in attività, possiede l’abilità di raccontare per immagini dei grandi autori , tavole mai banali e di rara bellezza . Un tratto in bianconero sporco, dinamico , artisticamente eccelso ci conduce attraverso un mondo apocalittico- catastrofico nel quale 2 fratelli tentano di sopravvivere e di colmare un vuoto nell’animo con il bene più raro in un mondo crudele e spietato.
Recensioni
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(…) Semplice pennarello nero, puro piano-sequenza narrativo, La terra dei figli è una storia lineare, priva di ellissi temporali o didascalie. È fumetto nella sua forma più schietta, la quintessenza del racconto sequenziale per immagini. E il risultato è un libro avvincente, denso e godibile. Gipi non è e non vuole essere un teorico del fumetto, ma da molte delle sue interviste emerge una consapevolezza lancinante dell’atto artistico, di come e in che dosi mescolare parole e disegni. (…) Gipi ha sperimentato nel tempo tecniche e stili riuscendo a rimanere riconoscibile, prefiggendosi traguardi di volta in volta diversi e stabilendo come fare a raggiungerli e quali trappole evitare (…).
I protagonisti della vicenda sono due fratelli che vivono in riva al lago in una baracca insieme al padre brusco e brutale. Il motore degli eventi è il recupero della memoria, l’ostinazione nel comprendere l’ermetico contenuto di un taccuino che, forse, racchiude in sé un passato (…). L’epigrafe laconica con cui si apre il volume annuncia : “Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro venne scritto più”. E questo, in realtà, non è nemmeno l’inizio. La terra dei figli è un mondo del post, un futuro dopo “la fine”. Non si sa cosa abbia causato il cataclisma, se si tratti di un olocausto nucleare, di una guerra o di un virus. È un evento quasi simbolico, segnato da un fascino oscuro che ha riportato a galla le leggi primordiali della sopravvivenza. (…) Quella di Gipi, tuttavia, è una distopia “domestica”: le molte tavole di narrazione muta e gli ampi paesaggi incolori con i quali descrive la desolazione di un mondo in rovina, ben diversi dalle lande deserte di Mad Max, ricordano piuttosto la maremma toscana o la laguna di Orbetello.
“A me piace disegnare il cielo sopra l’Ipercoop”, dichiarò un tempo Gipi e a questo proposito si è attenuto anche nella terra dei figli. Solo che, stavolta, l’Ipercoop non c’è più e non ne restano nemmeno le macerie. (…). Eppure la cruda miseria che circonda i protagonisti può anche diventare selvaggia bellezza. Ai due fratelli il mondo si rivela per fasi: man mano che l’orizzonte si allarga i ragazzi raccolgono indizi su ciò che è distrutto e su quello che rimane. In questo viaggio il bene e il male sono anch’essi oggetto di scoperta progressiva e alla fine realizziamo che tutte quelle atrocità non erano gratuite: servivano a ricordarci cosa rischiamo di perdere.
Recensione di Andrea Pagliardi
È quasi scontato ribadire come La terra dei figli sia uno dei graphic novel più attesi dell'anno. Anche perché lo stesso Gipi aveva contributo ad alimentare la curiosità in un'intervista apparsa l'anno scorso su Wired, in cui annunciava che la sua prossima, grande opera, sarebbe stata “la prima […] su una trama inventata, senza artifici di narrazione, voce off, poesia varia”. Come a dire: cambio di passo.
Il risultato è una fiction post-apocalittica in cui i pochi umani superstiti sono ridotti a uno stato di mera sopravvivenza semi-bestiale, e in cui sul pianeta sembra non essere rimasto più nulla se non qualche cane da mangiare arrostito su una palafitta. Siamo insomma in piena catastrofe sci-fi, ma trattandosi pur sempre di Gipi è chiaro anche che restiamo a diversi universi di distanza da un Mad Max a caso. Anzi, il vero fascino di La terra dei figli sta proprio nella maniera in cui Gipi riesce a calare la vicenda in un contesto intimamente... ma sì, provinciale, contadino, qui esasperato nei suoi aspetti più crudi, turpi e disperati, e ritratto in uno scabro bianco e nero che più severo non si può (niente acquerelli, già). Tra metafore più o meno esplicite ad aperta riflessione sui destini delle relazioni umane, La terra dei figli è un lavoro ambizioso e cupo, in cui – novità e cambi di passo a parte – intatta resiste la voce dell'autore di Unastoria.
Recensione di Valerio Mattioli
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