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Evidentemente la smania della notorietà prevale sulla discrezione dello studioso, fino a produrre romanzetti che garantiscono la comparsata televisiva.
Cicerone sa che la sua ora si avvicina e la presenza costante della Morte diviene il motivo per tirare le somme della sua vita. Attraverso una lunga lettera all’amatissima figlia Tullia, morta di parto, Cicerone rivive la sua vita, le tappe della sua carriera, gli amori, le passioni, gli odi. Nelle pagine scorre la malinconia delle cose passate, dei momenti di gloria, delle orazioni declamate in senato, della fama. Ricorda i metodi per memorizzare le arringhe; l'orgoglio di indossare la toga bianca bordata di rosso di senatore della Repubblica romana; le fave tanto amate da sua madre; il trasferimento a Roma dalla provincia. L’inquietudine lo porta a girovagare da un posto all’altro, da un luogo all’altro: Formia, Pompei, Arpino… di nuovo Roma. Intanto scorrono i personaggi che ha incontrato, gli amici che lo hanno sostenuto e accompagnato e i nemici con cui si è scontrato: Catilina, affamato di potere, Cleopatra, dal pericoloso fascino ammaliatore, Crasso sconfitto dai Parti, la lotta fratricida tra Mario e Silla, Pompeo sconfitto da Cesare, Bruto, che ha scelto di uccidere il dittatore. Su tutti emergono Giulio Cesare, “continue vittorie, certezze inesauribili, sconfinata coscienza di sé, oltre ogni confine voleva portare la potenza di Roma e il suo stesso nome”. Ottavio, nominato erede da Cesare, “vuole, vuole, vuole… Vuole tutto, e tutto per sé”. Cicerone lo sente come una minaccia, nonostante l’apparente omaggio alla Res Publica e alle leggi che la governano. Antonio il pericolo supremo, “sleale, traditore, dissoluto, ambizioso e feroce, vergogna dei suoi nobili antenati, membra di soldato e cuore di belva”. Antonella Prenner con una scrittura evocativa e molto suggestiva ci conduce nella mente di uno dei più grandi pensatori, retori e politici della Res Publica romana, nel clima di incertezza, paura e sospetto successiva all’uccisione di Cesare, quando non si è più certi di chi sia amico, avversario travestito da amico o nemico.
Antonella Prenner ha avuto il merito di veicolare a un pubblico ampio, con gli efficaci artificî retorici della letteratura le più raffinate ed erudite acquisizioni della scienza filologico-letteraria e storico-archeologica. Come raccontato da lei stessa, l’Autrice ha fisicamente ripercorso tutte le tappe del viaggio ciceroniano, quasi a volerne ricalcare i passi, visitando uno a uno quei luoghi, alimentando la propria tensione narrativa con le suggestioni degli scorci, degli odori, delle atmosfere, dei sapori, nella convinzione che quei luoghi, a oltre duemila anni di distanza, recano il segno tangibile della presenza potente degli anni e degli uomini oggetto della sua narrazione. Questo dona verità al racconto, pur nella finzione della storia che, anche se ancorata saldamente a tutto quello che sappiamo di Cicerone, si dipana con maestria tra suspense e consapevolezza di un finale già scritto e tramandato dalle fonti: alla fine, si trepida per le sorti dell’Arpinate, e questo è un indubbio merito dell’Autrice, capace di tenere il lettore incollato alla pagina. Il narratore interno, inoltre, facilita l’immedesimazione del lettore, che pare entrare nella mente del protagonista; tuttavia, a catalizzare l’affezione del lettore è lo stesso sentimento dell’Autrice, che non nasconde l’amore, irrobustito dalla stima sincera, per il personaggio narrato. Proprio perché lo ama, Antonella Prenner non fa a Cicerone il torto di dipingerlo come non è mai stato e lo propone al lettore come un uomo integro e fiero, ma non risoluto, vacillante nell’azione, benché saldo nelle sue convinzioni, quasi avesse fatto propria la lezione di Stefan Zweig, espressa nel celebre libello Cicerone: «Nel corso della Storia si ripete continuamente la tragedia dell’uomo di pensiero che, schiacciato dal peso della responsabilità, raramente riesce a passare all’azione nei momenti decisivi.» In questo libro, al di là della Storia, si staglia la figura dell’uomo Cicerone, dolente nella sua humanitas.
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