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Qualcuno sa dirmi se è ancora reperibile da qualche parte ?
Signora Annamaria, l'analisi di Umberto Eco è prolissa e mortalmente noiosa. Il libro invece è un capolavoro. Saluti affettuosi, signori miei.
Libro stupendo, stupendissimo!!!!! E il saggio di Umberto Eco un libro nel libro!!! Un'analisi profonda e affascinante che ha raddoppiato il godimento del libro. Assolutamente da rileggere tutto daccapo, anche se l'ho terminato stamattina.
Recensioni
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Ciò che di emozionante c’è nella lettura è forse dovuto anche a una sorta di qualità inossidabile dei testi letterari, che li rende talvolta tanto più ricchi e misteriosi quanto più li conosciamo. È questa senza dubbio l’esperienza che Umberto Eco ha fatto con Sylvie di Gerard de Nerval. Un’esperienza iniziata a vent’anni, quando lesse per la prima volta il racconto "in stato di assoluta innocenza" e ne rimase "sconvolto". Da quel momento, non ha mai smesso di riattraversarlo, di interrogarlo: a Sylvie dedica un saggio nel 1962 e poi, negli anni settanta, una serie di seminari all’Università di Bologna; nel 1982, prepara un numero speciale della rivista "VS" (n. 31/32, Sur "Sylvie") e due anni dopo ne fa l’oggetto di un corso alla Columbia University di New York; tra il 1992 e il 1993 torna ad analizzarlo in occasione delle Norton Lectures tenute all’Università di Harvard (poi edite da Bompiani nel 1994 con il titolo Sei passeggiate nei boschi narrativi), e negli anni successivi dedica al racconto altri due corsi universitari, a Bologna e a Parigi. E così, in nome di una fedeltà sempre ribadita, si arriva alla traduzione di Sylvie pubblicata da Einaudi nella collana "Scrittori tradotti da scrittori" e accompagnata da un saggio molto stimolante in cui Eco fa il punto delle sue successive letture. La chiave di questa fascinazione quasi ossessiva sta nell’"effetto nebbia" – come lo definisce Eco sulla scorta di Marcel Proust – che il testo produce e che, in quanto lettori, ci costringe a subire: un effetto che non si dissolve nemmeno dopo molteplici riletture, nemmeno dopo avere scomposto e ricomposto il racconto un numero infinito di volte. Possiamo senza dubbio spiegare "come è fatto" Sylvie, come funziona, ma ogni volta che rientreremo nel testo, esso ci coglierà di sorpresa, ci prenderà, per così dire, alle spalle, dimostrando la straordinaria resistenza dei suoi procedimenti. La storia che ci viene narrata nelle pagine di Sylvie è apparentemente semplice. Un anonimo narratore, da tempo innamorato di un’attrice che non conosce e che si limita a osservare dal palco di un teatro, una sera legge casualmente sul giornale l’annuncio della festa provinciale dei fiori che si svolge ogni anno nei pressi del villaggio di Loisy, nel Valois, e questo annuncio gli rievoca un episodio della sua fanciullezza. Amava Sylvie, una ragazza di Loisy, ma durante una di quelle feste provinciali aveva visto per pochi istanti Adrienne, alta, bionda, slanciata, discendente dei Valois. Capisce che quella figura è rimasta incisa nella sua memoria, che nell’attrice egli ama l’immagine di Adrienne. Rimpiange di avere dimenticato Sylvie e decide di recarsi alla festa quella stessa notte per ritrovarla. Dentro la carrozza che lo conduce da Parigi a Loisy, il narratore ricorda altri episodi della sua giovinezza. Quando giunge al villaggio ritrova Sylvie, ma scopre che sta per sposarsi e torna a Parigi. In seguito scrive un dramma per l’attrice ed entra con lei in rapporti di intimità; ma si accorge di non amarla e se ne allontana. Dopo tutte queste vicende, ogni tanto gli capita ancora di tornare nel Valois, dove frequenta Sylvie, ormai sposata e madre di due bambini. In cosa consiste, allora, l’"effetto nebbia" di Sylvie? In quella sospensione dell’ordine temporale, una vera e propria "nebulizzazione del tempo", per cui, come dice Proust, "siamo costretti a ogni momento a tornare indietro, alle pagine precedenti, per vedere dove ci si trovi". Il racconto è costruito in modo tale che noi non sappiamo mai con certezza dove collocare, in un’ideale tavola cronologica, gli eventi narrati: di fronte a quegli eventi non siamo mai sicuri se si tratti del presente o del passato, di un ricordo o di un sogno. In un testo narrativo c’è sempre un orologio, ha scritto Edward Morgan Forster. Ebbene, come sottolinea Eco, nell’universo di Sylvie "gli orologi non funzionano": sono immobili o si spostano velocemente avanti e indietro; ma soprattutto, si rifiutano di segnare il tempo. I lettori non sanno quando il narratore racconti (ossia, quando ricordi di avere ricordato), non sanno quanto tempo intercorra tra un episodio e l’altro; per tentare di ricostruire una sequenza, devono basarsi su indizi labili, infidi. Un uso massiccio dell’imperfetto ci proietta, sin dal bellissimo incipit con cui si apre il racconto, in un passato dai confini labili: "Uscivo da un teatro, dove ogni sera mi esibivo al palco di proscenio in gran tenuta di primo amoroso". Il turbamento del lettore è ulteriormente incrementato dai rapporti di simmetria che si stabiliscono tra diversi episodi dell’intreccio, per cui ciascuno ha, nel testo, la propria immagine speculare e si presenta quasi duplicato; così come i tre oggetti del desiderio del narratore – Sylvie, Adrienne e l’attrice Aurélie – tendono a confondersi, a identificarsi l’uno nell’altro, a scambiarsi tratti e attributi. Il narratore non solo "sospetta, teme, desidera, finge sino alla fine, e contro ogni evidenza, che Aurélie e Adrienne siano la stessa persona, ma a tratti ritiene che quello che desiderava nelle prime due gli possa essere dato da Sylvie". È dunque "l’effetto nebbia" che Eco cerca di spiegare, armato di una strumentazione tecnica e teorica volutamente leggera, e forte di una scelta di metodo preliminare: chiudersi all’interno di Sylvie, ingaggiare un faccia-a-faccia con il testo che esclude programmaticamente ogni riferimento storico, biografico o culturale, come ogni richiamo intertestuale ai numerosi fili che legano Sylvie ad altre opere di Nerval. Da qui la decisione di non apporre note esplicative. Un presupposto regge evidentemente l’intera analisi: il testo è un organismo autosufficiente che trasmette al lettore tutte le competenze necessarie alla sua decodifica; che fabbrica, da solo, il proprio "lettore modello". Alla fine, tuttavia, ci rimane un dubbio: quel "lettore modello" che sembra uscire dalle pagine di Sylvie non somiglia un po’ troppo a Umberto Eco?
recensioni di Meneghelli, D. L'Indice del 1999, n. 07
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