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A volte surreale, a volte fantastico, spesso anacronistico, per poi scoprire che ciò che potrebbe sembrare un mistero non lo è, ma è solo espressione di vite travagliate, di sofferenze che non si riesce a rimuovere, di accadimenti che si innestano nei solchi di un “destino” … Anche questo libro di Salvatore Basile, colpisce e affonda ed è intimamente connesso all’angoscia dell’abbandono e alla paura di risolverla. Michele è solo un bambino quando sua madre l’abbandona portando con sé il suo diario segreto. Sul fatto cade il silenzio, ma la ferita resta aperta nel bambino che diventa uomo senza mai riuscire ad aprirsi al mondo. Poi quel diario ritorna, abbandonato su quel treno, lo stesso preso da sua madre il terribile giorno dell’abbandono e l’evento inizia a scavare nella coscienza di Michele complice Elena, conosciuta per caso e per caso amata di un amore che non sa di esserlo. Finale a sorpresa e chissà se Michele riuscirà a ritrovare sua madre…
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Un libro ricco di emozioni, forse surreale in alcuni punti. Lettura piacevole
Recensioni
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L’atmosfera in cui ci si cala, iniziando la lettura, è quella de Il favoloso mondo di Amélie.
Sembra di entrare in una dimensione parallela in cui il tempo si è fermato. Esiste ancora la casa cantoniera abitata dal capostazione che controlla il salire e scendere dei pendolari da un vecchio treno. Una linea ferroviaria che si arrampica sugli Appennini tra cinque piccoli paesi fuori dal mondo, in una regione che potrebbe ricordare l’Abruzzo, divisa com’è tra mare e fredde montagne. Nonostante i dettagli lasciati cadere, come la presenza degli smartphone che riportano ai giorni d’oggi, il libro ha colori caldi e sfumati di una cartolina degli anni sessanta. E in questa altalena temporale si snoda la storia di Michele ed Elena.
Lo strano viaggio di un oggetto smarrito è, infatti, il classico romanzo di formazione. Dall’oggetto smarrito, o meglio ritrovato, inizia il viaggio del protagonista, aiutato dall’amica, verso la propria crescita personale e la maturità, l’acquisizione della forza per affrontare il proprio passato e i propri fantasmi permettendo a sé stesso di far pace e accogliere il futuro, uscendo finalmente da quell’isolamento in cui si era barricato.
Michele è un giovane di trent’anni segnato profondamente dall’abbandono della madre quando era bambino, e l’assenza emotiva del padre per il resto della sua vita.
Elena è una giovane donna che sfida il proprio dolore a colpi di entusiasmo e gioia di vivere. Una bambolina dimenticata in quel treno fuori tempo, è il compromesso che permette a due visioni opposte della vita di potersi incontrare e trovare un punto comune da cui iniziare a curarsi, reciprocamente.
La scrittura scorre veloce, sembra di ascoltare un cantastorie che racconta la fiaba della sera, davanti ad una tazza di tè. A tratti fanno sorridere i riferimenti a film che fanno ormai parte del dna di una generazione, come Harry ti presento Sally, dall’altra quasi commuovono certe frasi sull’amore, simili ad aforismi, che fanno alzare gli occhi dalla pagina e ripensare alla propria, di storia.
La dolcezza della narrazione, infine, fa perdonare anche la prevedibilità di alcune scene e gli espedienti, forse un po’ forzati dallo scrittore, per far quadrare il cerchio sul finale. Nel complesso un buon libro che mi sento di suggerire quando si vuole chiudere il mondo e lo stress fuori dalla porta e ritrovare il piacevole gusto di una storia a lieto fine.
Michele è un uomo di trent’anni, abita in una piccola casa a Miniera di Mare nei pressi della stazione ferroviaria del paese e il suo lavoro, ereditato dal padre, è quello di capostazione. Ogni giorno aspetta che l’unico treno concluda il suo cammino per controllarlo e pulirlo. La sua vita è monotona, abitudinaria, chiusa in poche e piccole azioni che fa in maniera maniacale e ripetitiva, giorno dopo giorno per quasi ben ventitré anni. Michele non ha amici, non ha passatempi, passa la giornata chiuso in casa, non parla con nessuno se non con la miriade di oggetti smarriti che raccoglie sul treno e che custodisce gelosamente in casa. Michele è l’emblema di coloro che si rinchiudono in se stessi dopo aver subito un forte trauma e che costruiscono barriere invalicabili alla vita reale preferendo una vita ovattata e “sicura” che apparentemente non produce dolore ma che, in realtà, logora l’anima. La ferita che Michele porta ancora indelebile nel suo intimo è una di quelle più dolorose: all’età di sette anni viene abbandonato dalla madre. Lui è presente in stazione al momento della sua partenza, le chiede il perché di quel gesto, se tornerà, se potrà avere ancora un suo abbraccio. Il bambino riceve solo fuggenti risposte, ma la madre non tornerà mai più. La vita di Michele scorre faticosamente con una tonalità monocromatica fino a quando, una sera, ritrova il suo diario rosso di quando era bambino e che la madre aveva portato con sé. Un evento che scuote prepotentemente il protagonista e che incrina il suo stato vegetativo nel quale era irreversibilmente caduto. Ma la scossa vera e propria che spinge Michele ad uscire dal guscio e ad affacciarsi alla vita reale viene data da Elena, una ragazza esplosiva, dinamica che ama profondamente la vita e che riconosce subito il dolore che si cela negli occhi neri cupi di Michele. Elena è il suo alter-ego, vede i colori dell’anima delle persone e sente i profumi e i sapori che la vita dona giorno dopo giorno a ognuno di noi. Grazie ad Elena, Michele decide di mettersi alla ricerca di sua madre per ricevere quelle risposte alle sue domande sepolte dallo scorrere del tempo ma che pulsano in maniera vitale. Michele compie un viaggio che lo costringe ad affrontare le persone e a confrontarsi con loro, a imparare velocemente che esiste un “male” ma anche un “bene” e che non è l’unico ad aver subito dei traumi. Un viaggio ricco di colpi di scena che gli permetterà di scavare nella profondità della sua anima, a ritrovare il vero se stesso e………
“Devi stare tranquillo. Pensa solo che la vita è sempre un rischio, per chiunque. Ma se stai attento e usi il cervello, è un rischio controllato. In qualunque momento ti puoi fermare e tornare indietro…a meno che non sei morto, tutto qui. E tu non mi sembri morto.”
Se con “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” Salvatore Basile sta avendo un grande successo in tutto il mondo un motivo ci sarà, anzi, più di uno! È un romanzo completo sotto vari punti di vista: le descrizioni dei luoghi e delle emozioni di Michele ed Elena sono minuziose, tutti i sensi vengono sollecitati. Gli aspetti più intimi dei protagonisti sono ben riconoscibili come la loro maturazione durante lo scorrere delle pagine. Non mancano l’imprevedibilità e il colpo di scena finale. Nel romanzo si riconoscono tre macro-fasi dell’evoluzione del protagonista un po’ sulla stessa falsa riga delle cantiche Dantesche: una prima fase “infernale” in cui Michele si trincera in se stesso, una corposa e “purgatoriale” di introspezione personale ed infine una “paradisiaca” che permette all’anima del protagonista di mettere le ali e tornare alla vita.
Questo romanzo possiede molti punti di forza ma, forse, la migliore sua qualità è che fa vibrare le corde delle emozioni delle persone. L’autore fa comprendere che tutti coloro che hanno subito un trauma o un forte dolore sono, dopotutto, degli oggetti smarriti. Michele ha subito il trauma dell’abbandono e ha volutamente smesso di vivere fino all’incontro con Elena. Anche Elena porta con sé un dolore profondo e misterioso ma, per il suo carattere vulcanico, affronta lo smarrimento di petto e a viso aperto. Due stili totalmente differenti accomunati dal fatto che di fronte a grandi scosse emotive che la vita, inevitabilmente, ci “dona” è necessario affrontare le proprie paure, uscire dal proprio stato di “confort”, abbattere quei paletti mentali che ci costringono a dire “non posso…”, “non ce la faccio..” per assaporare la vita nella sua più grandiosa totalità.
Recensione di Stefano Carboni
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