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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
forse questo libro non è appassionante, ma è appassionato, e dunque vale molto lo stesso. Io amo la scrittura di Paolo Di Paolo ed amo la persona che traspare dietro quella; apprezzo la capacità dell'autore di capire ed immedesimarsi nell'animo femminile ed incornicerei le pagine finali di questo libro, che affrontano uno dei kisteri e dei dolori più grandi della vita. "E no, per favore, non cominciate a dire che senza di me non ce late , perchè non è vero e perchè l'unico segno meno che va accettato riguarda proprio chi muore. Tutti meno uno più qualcuno rimette quasi a posto i conti."
Nino e Teresa sono un giovane attore semiprofessionista un po' inconcludente e farfallone e una trentenne impiegata in un'agenzia di viaggi, detentrice di una sapienza già matura e disillusa, nonché di un 'segreto' che sarà svelato verso la fine della storia. Sono accomunati dal sogno, dal desiderio, dal contrasto tra come vorremmo vivere e come ci troviamo a vivere. Sono figli partoriti dalla loro epoca, incerti, traballanti, eppure poetici, come lirica ed evocativa è la scrittura dell'autore, seppure leggerissima e a fior di pelle. Sul fondo sta una realtà che ha perso i solidi punti di riferimento di un tempo: una Londra solitamente evocata come luogo di affermazione personale in contrasto con la realtà italiana, ma che sempre più spesso non lo è, e una Roma che sa sempre di pioggia, di bisunto, d'incantevole decadenza. E' il nostro mondo, quello delle piccole vittorie quotidiane e della perdita dei grandi ideali, nettamente contrapposto al solido 'vecchio' mondo idealista degli anziani attori a cui Nino si trova a fare da insegnante su richiesta di Grazia - zia di Teresa, causa accidentale del loro incontro e voce narrante per buona parte del racconto - che ammazzano il tempo con gagliarda vivacità. La storia di Nino e Teresa è un corridoio dove si aprono mille altre porte che conducono a mille altre storie e ogni personaggio che vi si affaccia, anche solo per un secondo, invoglia il lettore a seguirlo ad immaginarne le future vicende. Paolo è abilissimo a tratteggiarne il carattere, lo spirito profondo, anche solo con tre parole. Una storia quasi solo d'amore si scioglie davvero in bocca. I passaggi vanno assaporati lentamente, dolcemente, in modo che pian piano possano essere assorbiti dalle nostre papille e diventarne parte integrante. Come succede con tutti i grandi romanzi, il lettore vorrebbe che la storia non finisse mai. Non ho dato il massimo dei voti solo perché l'autore è giovane e sto attendendo il suo capolavoro.
Ho preso questo libro dopo aver letto una recensione interessante, ma speravo in qualcosa di diverso. La scelta stilistica rende la lettura un po' faticosa, non si capisce immediatamente chi sta parlando, non ci sono virgolettati nei dialoghi, il flusso di pensiero è lasciato a briglie piuttosto sciolte. La storia, in fondo, è quella del titolo "quasi solo d'amore" e non delude, ma non entusiasma neppure.
Recensioni
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Paolo Di Paolo torna al romanzo vincendo una sfida: raccontare l’amore, ma con l’intelligenza di illuminarlo nel profondo di senso metaforico. Lo spazio fra gli avverbi “quasi” e “solo” apre una prospettiva più vasta, al di là della storia d’amore. La storia, rispetto a Dove eravate tutti (Feltrinelli, 2011) e a Mandami tanta vita (Feltrinelli, 2013), resta sotto traccia, ridotta a pochi eventi e luoghi: le dimissioni del Papa e l’elezione del nuovo pontefice, Londra, Roma non monumentale. Ma c’è soprattutto lo spirito del tempo, il nostro, in mezzo a una cerniera slabbrata, che da un lato chiude un secolo dallo splendore morente e dall’altro ne apre uno nascente e già opaco. La distanza tra queste due orbite, che convivono e generano attrito, è incarnata dai due protagonisti, la trentenne Teresa più radicata nelle vecchie categorie del Novecento, il ventitreenne Nino di fronte a un mare aperto, in una libertà morale senza confini. Sottilmente dialettico, il sistema dei personaggi si completa in una triade. Grazia, insegnante di teatro, “vecchia zia” e voce narrante, da spettatrice spia la vicenda, cedendo a intermittenza la parola ai due giovani. A Nino, il suo allievo più caro, dà l’occasione di diventare “il maestro di gente senza futuro”, che ha tre volte i suoi anni. Nino è un “presentista” che mal sopporta l’età dei suoi discenti, una specie diversa, ostinata a tenere in vita “qualcosa che già non c’è più, o che sta per morire”. Ironico pagliaccio, corteggiatore fortunato, apolitico, ateo, smitizzatore, è un ribelle alla seriosità dei modelli. L’incontro con Teresa, nipote di Grazia, sette anni di differenza che fanno la differenza, lo mette davanti a un cumulo di domande e all’avventura dell’innamoramento. Anche Teresa, frustrata operatrice in una agenzia di viaggi, presidia un territorio in agonia, al pari del teatro, ma sublima l’insoddisfazione immaginando luoghi che forse non visiterà mai. Un trauma l’ha resa “distante, chiusa come un mistero”, ma decisa a non ripiegarsi su se stessa e a costruire rapporti etici. La sua vera identità si manifesta nell’imprevisto scenario di una chiesa. (…) La “voglia di conoscere” giunge al suo punto più alto ed esploderà in un lungo dialogo serrato, quasi una requisitoria. La dualità, all’inizio giocata su forti antitesi, si tramuta in prorompente curiosità, in reciproco magnetico esotismo, fino ad abbattere l’armatura di pregiudizi e chiusure. Per Nino la domanda, evocata fin dalla allusiva copertina, diventa: “Perché gli stava incredibilmente a cuore entrare nella sua testa?”. L’amore è una “corrente che scava l’estraneità e la trasforma in confidenza”, che avvicina due universi inconciliabili.
Recensione di Alma Gattinoni e Giorgio Marchini
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