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Anno edizione: 2017
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Acquistato e letto nel 2003 nell'edizione Einaudi con frontespizio viola, ripreso recentemente per alcuni dettagli antropologici preziosi, è un testo indispensabile per chi ama la storia delle usanze medievali e oltre, oltre che i processi storici legati alle persecuzioni e le conseguenze psicologiche ad essi legate. Come i testi di P.Camporesi e C. Frugoni, gli scritti di Ginzburg sono una fonte preziosa a cui attingere il sapere e la conoscenza di un lungo periodo storico che di fatto ha segnato indelebilmente la nostra letteratura, cultura, pensiero. Bellissimo e pieno di spunti per ulteriori approfondimenti.
La Storia notturna è uno dei libri fondamentali nello studio del folklore, non solo per il contributo innovativo alle ricerche sull'origine del sabba, ma anche e soprattutto per la metodologia adottata da Ginzburg, che riesce a individuare in alcune tradizioni popolari sparse in tutto il mondo delle profondissime connessioni d'ordine storico: così ci sbarazziamo, finalmente, degli archetipi in quanto "universali culturali" (soluzione fin troppo facile quella di Jung, ma rigida - non sollecita la ricerca, ma la fossilizza nei simboli - e inadeguata, perché dà per scontato l'esistenza di un inconscio collettivo non solo indimostrabile, ma oltretutto fin troppo generico, come accade a tutte le presunte categorie universali!). Certo, l'ipotesi che alcuni riti sciamanici (legati al viaggio nel regno dei morti) si diffusero culturalmente in tutta l'Eurasia a partire dall'Asia centrale (arrivando infine al sabba) non è del tutto dimostrata, ed è Ginzburg stesso ad ammettere un'insufficienza delle fonti. Tuttavia quest'insufficienza di fatti storici attestati può essere controbilanciata da una considerazione che si riallaccia a uno strutturalismo leggermente riformulato: la persistenza nel tempo di certe tradizioni è dovuta anche all'immagine corporea che la specie umana ha di se stessa. Parliamo di caratteristiche strutturali condivise a livello biologico dagli uomini in quanto specie (camminiamo su due gambe, mangiamo con la bocca, ecc...). Se vogliamo, l'archetipo viene tolto a un generico "inconscio collettivo" e restituito a forme radicate nella natura umana, cioè al corpo. Assistiamo dunque a due fenomeni: la diffusione nello spazio di elementi culturali e la persistenza di essi nel tempo spiegabile grazie all'immagine che la specie umana ha di se stessa. Come scrive proprio Ginzburg in un articolo di risposta a Citati, la "combinazione tra storia e morfologia" fu dunque inevitabile - e, aggiungo io, assai coraggiosa e geniale. Grazie Ginzburg per questo capolavoro!
Le interpretazioni del sabba hanno oscillato tra due estremi: 1) il sabba è esistito ed era una riunione demoniaca presieduta dal diavolo (Montague Summers?); 2) il sabba non è mai esistito se non nella mente degli inquisitori. Tra i due estremi, tante posizioni intermedie che non hanno chiarito definitivamente la questione. Ginzburg, in questo bellissimo e dottissimo libro, mette in relazione la teorie del complotto, la persecuzione delle minoranze e le eredità dello sciamanesimo siberiano per giungere ad una conclusione affascinante (retta com’è dalla sua grande capacità di interpretare e mette in relazione elementi lontani nello spazio e nel tempo) che a me sembra una nuova versione della storiella semiologia secondo cui un’opera letteraria è un picnic in cui uno porta il significante e l’altro il significato; in pratica, il sabba è fuoriuscito dall’azione combinata degli inquisitori (che portavano il significato, ossia demonio et similia) e perseguitati (che portavano il significante, ricordi ancestrali ed esperienze sciamaniche). Ginzburg dice che non può escludere che qualche riunione tipo sabba possa essere avvenuta, ma la questione della realtà effettiva del sabba resta irrisolta. Questo libro ha deluso studiosi orientati alla fantastoria come Giorgio Galli: troppo accademico. Per me, è un capolavoro, come può esserlo un grande libro a prescindere dall’accettazione o meno delle sue tesi.
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