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Amo Marai perché ha la capacità di esprimere con delicate e gentili parole le emozioni provate dai suoi personaggi. Entra nell'intimo di ciascuno di essi in punta di piedi, trascinando il lettore in un vortice di seduzione letteraria assoluta.
Il romanzo più dolce. Una carezza rivolta al dolore. La sorella.
"Non esiste via più disperata di quella che conduce alla perfezione; ogni passo ci apre nuove e imperscrutabili distanze: misurare queste distanze ci atterisce, consapevoli come siamo di non poter indietreggiare, né fermarci a riposare, perché altrimenti ci smarrimemo. E io in quel momento mi ero smarrito..." Ma è la perfezione della prosa e della storia che qui narra Marai che può far sentire smarriti. Si smarrisce Z. il protagonista e nel suo smarrimento trovi le leggi che lo regolano, universalmente valide e dimostrate come delle leggi fisiche: la forza di gravità dell'anima descritta alla perfezione con cause ed effetti; tutto lì, scritto nero su bianco. Tutto qui il mio commento. Lo affido alle 5 stelle che quando, per eccesso di 'panismo' non vengon le parole, ben ne trasmettono la sintesi.
Recensioni
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La sorella fu scritto da Sándor Márai nel 1946, subito dopo il capolavoro Le Braci, e fu l'ultimo libro (insieme con il diario del periodo bellico) che l'autore ungherese pubblicò in patria prima dell'esilio. Protagonista della storia è Z., un noto musicista atteso in Italia per un concerto, che lascia l'Ungheria e il Danubio anche per allontanarsi da una vicenda sentimentale morbosa e intricata, in fuga da un particolare ménage a trois che lo vede coinvolto con l'affascinante signora E., donna di mondo, bella e colta, e con suo marito, un diplomatico distinto un po' in là con gli anni. Z. parte, è sul treno per Firenze nel giorno in cui Varsavia cade nelle mani di Hitler e mentre sta pensando di suonare Chopin come proprio personale omaggio a quel popolo vicino e offeso, all'improvviso sente che gli sta succedendo qualcosa di strano. Capisce, in un attimo ben preciso, che nulla nella sua vita sarà mai più come prima. La musica, il suo rapporto con il proprio corpo, con il mondo, con le persone che ha amato, con E., tutto è destinato a mutare da quell'istante nel quale il musicista, sdraiato sulla cuccetta del treno alle prime luci dell'alba, sente una voce annunziargli che da lì in avanti nella sua vita tutto sarebbe stato "diverso".
Poi l'arrivo a Firenze e il manifestarsi di una malattia, un virus rarissimo che lo porta al ricovero in ospedale subito dopo il concerto, e che acuisce quel senso di solitudine che progressivamente s'impossessa dell'artista (lo stesso che perseguitò Sándor Márai fino alla morte). Z. è stremato dal dolore, annichilito dalle dosi di morfina che gli iniettano i dottori, vive una vera odissea tra la vita e la morte, in compagnia di quattro suore, presenze "angeliche" ma pure "ruffiane", che vigilano su di lui benefiche, ma in parte anche inquietanti, oltre che sempre sfuggenti. Dolorissa, Cherubina, Carissima e Mattutina sono le quattro monache, i quattro volti di una trance particolare, dell'agonia di una mente malata, distrutta, protagoniste, insieme al paziente e al professore che lo cura, di notti chimiche fatte di iniezioni, radiazioni, farmaci e sangue.
Il romanzo prosegue verso un epilogo insolito e misterioso, quando ancora una volta è una voce, una voce di donna, a sussurrare all'orecchio di Z. le parole: "Non voglio che lei muoia". E sarà quella "forza femminile", quella energia mascherata e distante di cui non comprende con certezza l'identità, a lottare per lui e ad agire per la sua sopravvivenza.
L'autore di Divorzio a Buda ci regala un nuovo gioiello della sua prosa classica e poderosa, un romanzo che riesce a raccontare la malattia con precisione, con tensione senza nulla togliere alla crudezza delle situazioni, in una osmosi allucinatoria tra fisico e psichico, sullo sfondo delle tragedie degli esiliati nella Seconda guerra mondiale.
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