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Anno edizione: 2015
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Nonostante la capacità di stile, i racconti mi sono piaciuti poco e credo che non valgano molto perchè annoiano. E' come se in Italia, rispetto ai nuovi autori, la capacità di scrivere in maniera tradizionale (o più tradizionale) venga vissuta in maniera 'castrante': sia da chi scrive, sia dalle case editrici da cui vengono scelti gli autori. Peccato: l'alternativa alla scrittura commerciale non è un nuovo stile nè una nuova idea di scrittura, tantomeno il mero stupire, ma una salda capacità (la definirei tradizionale) di narrare e di catturare il lettore. Se poi, assieme a questa, ci sono anche degli elementi nuovi, ben vengano.
serie di racconti tutti al femminile ai giorni nostri. scrittura interessante
Sei storie tutte al femminile, con i maschi sostanzialmente sullo sfondo, in qualche modo causa di insoddisfazione e problemi per le rispettive compagne, peraltro un po' particolari e inquiete. Denominatore comune di tutte le storie la 'tristezza', che avvolge la vita delle sei protagoniste e ... lascia 'male' il lettore ! Buona la prosa, sufficientemente fluida, ma mai troppo coinvolgente. Qualche riferimento 'hard' sulla vita 'intima' delle protagoniste, un po' goffo, asettico anche se materico, tutto sommato gratuito ( ma va di moda ...).
Recensioni
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"Non riuscivo a sentire nulla. Non un clacson, non una risata, non i tacchi sulla strada, una serranda che si alza o che si abbassa, la canzone di un pazzo, un pallone che rimbalza, una lattina che rotola. C'era tutto questo, lì fuori. Ma non lo sentivo."
Sta in silenzio il lottatore di Rossella Milone. Il suo silenzio affolla questo libro. È un tonfo abissale, asciutto. La cassa di risonanza di un ventre contratto, di un gemito trattenuto. E a questo silenzio segue il respiro placido del lottatore che si è appena alzato da terra, un gusto ferroso in bocca, negli occhi la collera della vita che ha ripreso il suo posto.
Una raccolta di racconti che racchiude le vite di lottatrici, donne dalle diverse età e sparse in epoche differenti. Donne che hanno in comune la stessa luccicanza. Donne imprescindibili dai loro corpi, sfigurate dalle loro battaglie, dalle loro esistenze.
Un libro fatto di negazione, un’ode alla forza, uno specchio che trattiene a indugiare sul nostro riflesso. Sei storie non dette che rimangono sospese e che non hanno bisogno di alcuna soluzione. Sei donne che lottano contro i loro limiti e contro la battaglia più complessa: quella delle relazioni umane. Eroine in guerra, che si difendono, che resistono.
Cos’è quest’assenza?
È la storia di un tempo che corre e che si nasconde nelle stanze della memoria. È un’anziana donna di nome Erminia, accompagnata in un ricovero, senza che possa rendersi conto di dove sia finito quel tempo, senza temerne la paura, perché il suo tempo è esattamente lì, dove nessuno lo può toccare. È il marito Amedeo, incontrato in ogni volto; è il soldato Paul con cui si accalda a ritmo di charleston, sono le sue anche dure in contrasto con la guerra, addolcita da quel corpo. È con Operazione Avalanche che si apre la prima voragine del libro.
Dov’è quest’assenza?
È in un’adolescente, Marianna, che nel pieno della sua bellezza scopre le reti del sesso e vi rimane incagliata, con il corpo. È in tutto Il peso del mondo che la schiaccia, nella fine di un’amicizia lunga una vita intera, nelle tante porte che chiuderà, lasciandosi dietro un letto sfatto, nemmeno un cenno, un saluto, solo un altro uomo a riempire lo spazio di quel corpo capace di avere un senso solo nella solitudine.
Di cosa parla quest’assenza?
Sono Le domande di un uomo e quelle mai fatte di una donna in età avanzata, che cerca di riprendersi il suo matrimonio, di riavvicinare due letti separati, due corpi maturi. Parla di una madonnina colma di acqua santa, ferma, immobile, che osserva quei letti tanto distanti.
Parla dell’odore del pesce in un mercato nel centro di Napoli, lo sguardo di un cane che cerca l’assenza maschile che affolla la casa. È la Luccicanza, «quel flusso, quell’ammuina che si ammassa nelle ossa, dentro alla testa, e pure nelle mura e nelle case. Tutta quella roba che non vediamo ma che non ci fa dormire la notte».
È una madre che dimentica il figlio, che dimentica di sentirsi, che annaspa alla ricerca del suo spazio:
Gli feci un po’ di spazio, rassegnandomi al fatto che ormai il mio, quello soltanto mio, immenso, illimitato, desertico, per quanti materassi potessimo cambiare, non lo avrei mai più riavuto indietro.
È l’assenza di tutte queste donne che hanno perso qualcosa nel loro passaggio e stanno cercando di riprenderselo.
Il linguaggio della Milone scarnifica, non ha unguenti perché è qualcosa che fora la pagina e si attacca agli occhi. I dialoghi, i gesti di ogni personaggio scaturiscono da un’energia conflittuale che porta costantemente ai limiti della tensione. Ci sono le perdite, gli squarci, il silenzio. Ma non si cade mai da quell’effimero equilibrio: tutto è sul punto di sfaldarsi, ma niente si distrugge del tutto.
Al centro dell’opera le relazioni umane, la volubilità che le caratterizza. E i letti. Letti ancora caldi, letti consumati, inamidati, letti su cui si compiono tutte le lotte fisiche di queste relazioni.
È tutto il peso del mondo che grava su queste donne; la responsabilità della carne, l’ardore nelle pupille, la pesantezza di anime che si contraggono al sole.
Rossella Milone le salverà. O, forse, ci salverà.
Te ne vai senza nemmeno salutare, chiudendoti l'ennesima porta alle spalle. In quella stanza rimarrà solo un'ombra di te, solo un bagliore, come nella vita di tutti quelli che ti hanno incontrata.
A cura di Wuz.it
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