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trama interessante ma poco sviluppata.
Opera compresa nel terreno di confine tra il romanzo breve e il racconto lungo in cui la scrittrice riesce, con consumata maestria, a costruire una vicenda d'amore della tarda età di mezzo in cui la tensione narrativa tiene avvinto il lettore sino all'ultima riga. Il tutto assistito da una prosa scorrevole e piacevole. Complimenti.
Come scrivere d'amore senza amore. Si legge velocemente, la storia scorre bene, ma l'ho trovato ricco di stereotipi ed incoerenze. Tutti i personaggi trasudano il tipico malessere ed egocentrismo così comune ai nostri tempi. Storie di personaggi che si inventano problemi perché non hanno veri problemi. Il tipo di persone che non hai voglia di incontrare, insomma ;-)
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Un uomo di quarantotto anni vive da tre separato dalla moglie in un appartamento dominato dal disordine: il letto sfatto, i pavimenti e i vetri delle finestre sporchi, le camicie buttate a terra, i piatti ammucchiati nel lavello. Un mattino si sveglia e le quattro stanze hanno cambiato fisionomia: ogni cosa ha ritrovato il proprio posto, ineccepibile la pulizia, la colazione è imbandita e una musica seducente e rassicurante si diffonde per la casa. Giorno per giorno aromi sempre più vari e raffinati animano la dimensione olfattiva dello spazio domestico. È stata Sophie a mettere ordine nel caos, a trasformare il tipico alloggio di un single in un ambiente caldo e accogliente. Donna di pochi anni più giovane di lui, riservata, colta (legge Rilke), musicalmente evoluta (ascolta Bach), elegante, misteriosa, sa attuare con grande naturalezza i propri compiti di domestica infaticabile. Stefano ne è affascinato; e lui, che "sapeva accontentare una donna ma non era mai riuscito ad accontentare se stesso", si sente per la prima volta capace di innamorarsi.
La ex moglie Sara; la giovane Silvia che gli si concede nella speranza che il suo dattiloscritto trovi una collocazione editoriale nell'azienda dove Stefano lavora; Mara, la collega che non gli ha mai nascosto simpatia e disponibilità a una relazione: tutte le donne che frequenta in modo distratto e svogliato e che mai lo hanno gratificato diventano pallide figure di sfondo di fronte alla luminosità avvolgente che emana dalla persona di Sophie. La quale si è insinuata nell'inverno dell'esistenza di Stefano riuscendo a sciogliere il gelo che è in lui e che gli è valso da parte dei colleghi il nomignolo, non si sa tenero o feroce, di "freezer".
L'autrice, che ancora una volta mette in pratica situazioni orientate a portare in primo piano una vocazione alla conoscenza differenziata della psicologia maschile e femminile, si esprime qui in una scrittura accattivante e fluida, ironica e intelligente, sempre comunque profonda, che eccelle nelle parti dialogate. È l'anatomia dell'innamoramento che scatta nella vita di un uomo un po' banale, taciturno e splenetico, talora aggressivo ("avevo provato altre volte il desiderio di spezzare le ossa piccole", pensa stringendo il polso di Sophie), eccitato dal rapporto padrone/serva di cui inevitabilmente si colora l'attrazione per la domestica, non ancora affrancato del tutto dalla famiglia di Sara (vive infatti nell'appartamento dell'ex suocero, cui paga una somma irrisoria di affitto), che sta facendo i conti con le prime "parti scoperte del cranio", con lo specchio che gli rimanda l'immagine non poco ansiogena costituita dal preannuncio di una vecchiaia confermata dalle sempre più rare erezioni.
Ma sono i rapidi incisivi affondi nella complessità interiore delle donne a fare di questo romanzo forse uno dei più intensi fra i numerosi che Lidia Ravera abbia da tempo fornito a un orizzonte d'attesa stabile e affezionato come quello sul quale una narratrice del suo rango sa di poter contare. L'autrice non è certo nuova alle psicologie dei sentimenti, ma con Le seduzioni dell'inverno ha saputo coniugare esperienze di vita e modalità espressive mature e esatte. Nessuna delle donne messe in scena è veramente ciò che appare: una moglie ricca e apparentemente irreprensibile, ma con la passione del gioco e una sessualità ambigua; una cameriera che è ben altro; l'amica di lei che nasconde dietro un abbigliamento provocatorio, di cui intenzionalmente si pavoneggia, le inquietudini e le disperazioni di giovane figlia di una madre suicida; l'aspirante scrittrice di scarso talento che non la spunta neppure mettendo a disposizione il proprio corpo sodo di giovinetta. Sono figure di convincente spessore esistenziale, tipologicamente fondate, tanto da determinare la conferma del legame profondo che esiste nelle narrazioni di Ravera tra lo sguardo lucido e informato sul costume sociale (e qui la soccorre la sua attività di giornalista opinionista) e le trame inventive che, proprio a partire da esso, garantiscono verosimiglianza e inesauribilità ampie e illuminanti.
Siamo nel postfemminismo (vi si accenna durante la cena memorabile a casa di Stefano), negli anni in cui sempre più spesso si indagano i tremori sentimentali dell'uomo fragile indifeso, incapace di prendere in mano la propria vita e ironicamente privo di slanci ("Fare l'amore è come cucinare, ci vuole un po' di estro, ma la sostanza è la manualità"), e una certa disinvolta sicurezza nelle scelte che proviene da una ormai sperimentata consapevolezza di sé delle donne. Sara e Sophie sono donne mature (l'affacciarsi della vecchiaia Maledetta gioventù, 1999; Né giovani né vecchi, 2000 è tema caro a Ravera, che è stata giovane in un tempo che attribuiva alla giovinezza un valore assoluto), e i loro comportamenti alla Carol di Patricia Highsmith sembrano proporsi come possibile alternativa. Luisa Ricaldone
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