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Cosa spiega la metamorfosi di una quattordicenne "pariolina" in una rivoluzionaria professionale, fra il 25 luglio 1943 e l'autunno 1947? Non solo i tempi eccezionali, in cui si è trovata a vivere la sua generazione. Il suo ambiente d'origine non ne era consapevole, benché vittima a sua volta della persecuzione antiebraica, con la morte di una zia triestina che mise il piede in fallo, precipitando in un burrone, durante una fortunosa fuga in Svizzera. E vittima anche, in modo meno "serio", per l'impossibilità di assumere serve cristiane da parte delle zie con alto tasso di sangue israelita. Molto anomala, rispetto agli usi del tempo, la civile e rispettosa separazione fra la mamma Liebman e il papà Castellina, consumata a caro prezzo davanti alla Sacra Rota, separazione che non ha impedito loro di aiutarsi nelle vicende della guerra (notevoli le spedizioni automobilistiche in campagna del padre, già marito separato, in compagnia di un prete greco-cattolico, alla ricerca di cibo per tutta la famiglia). Le origini borghesi sembrano agevolare Luciana non tanto per presunte disponibilità economiche (sarà poi la madre a risollevarle, improvvisandosi mediatrice immobiliare), ma per la distanza culturale rispetto ai pregiudizi dell'epoca. Da brava nordica triestina,finita la guerra,comincia a girare il mondo con le organizzazioni dei giovani comunisti: in pochi mesi la vediamo aggirarsi di notte per Parigi, a Praga con i fratelli Berlinguer, in Jugoslavia a costruire una ferrovia in due campi di lavoro che le valgono il riconoscimento di "stakanovista". Nei momenti liberi, non si fa mancare nulla: va a cavallo, e guida la Vespa andando a sbattere contro un tram. Qua e là, confessa il suo senso di inadeguatezza, sia sul piano estetico ("troppo secca"...) sia su quello culturale, davanti ai tanti intellettuali che ormai affluivano al Pci.Il duro lavoro nelle borgate romane ne farà una vera organizzatrice politica.
Onestamente, non ho finito il libro. Però mi sembrano le memorie di una ultraottantenne che vuole ricordare ai giovani d'oggi di quando lei, a partire dai 14 anni ha cercato di dare un senso, un ordine al mondo, di capirlo, senza riuscirci, perché poi è diventata stalinista, pentendosi amaramente. Si consoli: Cicerone diceva che non c'è sciocchezza che non sia stata detta da qualche filosofo. Parlavo oggi con un vecchio super-berlusconiano che si era appena comprato un DVD agiografico su Mussolini. Sbagliamo tutti.
Un libro intenso, struggente. Il fatto è che il PCI è stato l'unico Soggetto Collettivo, politico, sociale, culturale, della storia italiana. E tutto ciò rivive nel libro e non può non coinvolgere chi quell'eperienza ha vissuto, sia pure in tempi diversi e con forme e intensità differenti. Utile anche a chi non ha fatto in tempo a viverla, quell'esperienza, per confrontarla con le miserie della politica attuale. Non mi vergogno a dirlo, alla fine ho pianto! Sul passato, il presente e il futuro...
Recensioni
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Non è un diario, e neppure un libro di memorie, ma un testo che felicemente mescola assieme brani di diario e ricordi che integrano la memoria senza sovrapporsi a essa. Subito il lettore si rende conto della novità: non siamo di fronte all'ennesimo ex dirigente del Pci che si fustiga in retrospettiva, né ci racconta cosa pensa oggi del lontano passato, ma che cerca invece di ricostruire fedelmente quel che allora pensava e sentiva: che è quello che ogni testimone onesto dovrebbe fare perché la sua memoria abbia un senso.
Di famiglia borghese molto complicata nelle relazioni e nella geografia, tra Roma, Venezia e Trieste, Castellina scopre il mondo adulto a Riccione, il 25 luglio 1943, quando la partita di tennis con la figlia di Mussolini, sua compagna di scuola, viene improvvisamente interrotta dagli agenti e si diffonde la notizia delle dimissioni del duce. Da allora, a quattordici anni, Castellina registra con curiosità e innocenza tutto quello che accade intorno a lei e che sente avvenire nel mondo: la politica, la filosofia, la letteratura, e soprattutto l'arte, che è la sua prima grande passione. Il cammino verso il Partito comunista si rivela, in questa come in molte altre memorie, un percorso lontanissimo dall'ideologia e dal dottrinarismo, approdo lento ma quasi obbligato per seguire fino in fondo la tensione alla scoperta di tutto quello che di nuovo si agitava in una Italia imprevista e mai immaginata, in un mondo nuovo e inesplorato. Una personalità giovane che sbocciava, assieme alla giovinezza del mondo.
I viaggi in Europa ai congressi dell'Unione internazionale degli studenti, e da Praga, nel 1947, verso la Jugoslavia di Tito, con una variopinta compagnia di giovani di tutte le nazioni per costruire la "Ferrovia della Gioventù" da amac a Sarajevo, sono il preludio all'iscrizione vera e propria al Partito comunista e all'impegno nel partito romano, che la vedrà impegnata soprattutto nelle periferie e nelle borgate, molto lontana dal mondo in cui era vissuta, e lontana anche dall'immaginario costruito attorno a quel partito, allora e ancor più a posteriori.
"Infatti il partito del Nord a noi non piaceva, perché ci appariva rigido, musone, tutto operaio. Da noi c'era invece questa umanità variopinta e allegra, anche qui disciplinata, ma in un modo che dava spazio alla stravaganza". Verso quel partito, da cui pure venne radiata, conserva un atteggiamento di gratitudine: "A me, innanzitutto, il Pci ha evitato di restare stupida, come sarei stata se non fossi uscita dal mio ghetto di provenienza, se non avessi avuto la possibilità di condividere con i miei compagni 'diversi' la passione più bella: quella di cercare di cambiare il mondo".
Diario e ricordi si arrestano alla soglia degli anni cinquanta, al termine di un percorso iniziale ormai compiuto, e sempre vissuto con l'atteggiamento descritto in un appunto del 15 aprile 1946: "Sono felice di vivere, di discutere, della natura, di scoprire le particolarità del mio animo e di quello degli altri, di vedere il mondo, di esprimere quello che provo, di dipingere. Sono felice di tutto. Il mondo è mio e lo voglio tutto". Gianpasquale Santomassimo
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