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ho letto altri libri di Helga Schneider prima di questo, il più famoso e il più bello. Impossibile non empatizzare con la bambina che cerca di capire cosa le succede attorno, nel periodo peggiore, finora, della storia recente
è un libro duro che racconta, con un'ottima capacità narrativa e di resa delle immagini, l'orrore della guerra vissuto da una bambina e da tutti coloro a cui toccò di condividere la stessa infausta sorte. Trovo inoltre sia anche interessante perché ci porta nella Berlino capitale del Reich, una città senza letteralmente più nulla, quindi molto lontana dai canti di gloria della propaganda nazista. Una città sepolta da macerie e cadaveri, dunque una prospettiva di racconto di quegli anni diversa. L'abominio dei campi di concentramento resta sullo sfondo, ma dell'ideologia e del delirio che li generò c'è traccia in tutto il libro.
Molto toccante e sconcertante , la vita dell'autrice nella Berlino nei mesi che precedono la fine della guerra, l'ingresso dei russi in città.la fame la sete. Non leggerlo sarebbe un peccato.
Recensioni
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recensione di Chiarloni, A., L'Indice 1995, n. 8
A lungo rimosso, il tema delle sofferenze dei civili tedeschi nell'ultima guerra è emerso sul finire degli anni settanta nell'alveo di una rivisitazione soggettiva - e dunque meno ideologica - delle memorie familiari. Nell'immediato dopoguerra il giudizio morale sui bombardamenti di Dresda e Berlino si risolveva - anche da parte tedesca, come ricorda Stig Dagermann nel suo reportage "Autunno tedesco" (1946, trad. italiana Il Quadrante, 1987) - con una risposta che era al tempo stesso una definizione di responsabilità della Germania: "Tutto è cominciato a Coventry". Ma nel 1983, con "Bruder Eichmann", Reinhardt Kipphardt riproponeva il problema mettendo provocatoriamente sullo stesso piano la Shoah con i bombardamenti sui civili tedeschi e giapponesi: "atrocità simili", in quanto "prodotto di un'ubbidienza acritica del singolo al sistema". E la discussione non è certo chiusa, anche perché non può prescindere da una questione di fondo, relativa al "consenso": se sia cioè possibile separare il "popolo" dall'organismo statale, e quindi dalla macchina bellica di un certo regime. Ora l'intensa testimonianza di Helga Schneider mette dolorosamente a fuoco l'intersezione tra individuo, storia nazionale e linguaggio offrendo nuovi elementi di riflessione.
Abbandonata dalla madre - nazista fanatica - nella prima infanzia, Helga conosce la rigida disciplina dei collegi hitleriani ma anche - grazie alle relazioni della famiglia - il privilegio di un soggiorno riservato alla gioventù ariana nel grande bunker della Cancelleria del Reich. Sono, queste, pagine assai interessanti perché da un'inconsueta prospettiva infantile il lettore viene immesso in quella sequenza di uffici, refettori, camerate e lavanderie che costituivano una sorta di città sotterranea in cui vivevano centinaia di persone al seguito del Führer. Ma Berlino è ormai in fiamme e gli ultimi anni della guerra Helga li vive sepolta in una cantina, con la matrigna e il fratello minore. Ora non c'è tregua all'angoscia e all'orrore. Non si tratta solo di fame e sete, di cimici e ratti. I bambini sopravvivono sottoterra tra gli escrementi e i cadaveri dei suicidi, o dei vecchi morti di stenti. Ricordate "Giochi proibiti"? Qui il fratellino di Helga dichiara tronfio: "Quando sarò grande voglio fare il bandito e uccidere tutti gli uomini".
Poi arriva la primavera del 1945 e con lei i russi, spesso ubriachi, in cerca di orologi e di corpi di donne. Agguantata anch'essa, Helga viene risparmiata ma in quella cantina assiste alla violenza. Tra le ultime immagini: l'esile salma di un'amica più grande stuprata, rinchiusa in un armadietto da bagno e trasportata fuori dalla cantina, per poterle dare una sepoltura decente.
La rievocazione della Schneider, che dal 1963 vive in Italia, è recente. Che cosa l'ha spinta a ripercorrere quella tragica esperienza infantile? L'indagine sulla propria identità è alla base di molta letteratura autobiografica degli ultimi anni, ma nel lento emergere di queste memorie c'è il segno di una lacerazione ulteriore, successiva all'infanzia. Dopo la guerra, nel 1971, Helga Schneider riesce a rintracciare la madre a Vienna. Sopraffatta dalla gioia essa accorre, vuol capire, perdonare. Ma si trova di fronte una donna fiera del suo passato di SS, nostalgica del nazismo. Schiantata dalla delusione, Helga sfugge rifiutando ogni contatto.
La riflessione sul passato la scava dentro ma ci vorranno ancora vent'anni prima che la scrittura prenda corpo. Poi, in un'estrema negazione della lingua materna, Helga Schneider redige in italiano il memoriale della sua infanzia. La condanna del nazismo è ferma, severa. Il messaggio e limpido. Ma per il lettore resta inscritto nel cono d'ombra delle immagini di quei bombardamenti sulla popolazione di Berlino: "Bombe e fuoco. Fuoco e annientamento. Annientamento di cose, corpi, leggi, tradizioni e conquiste civili".
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