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Ancora una volta Rocco Schiavone, perso e annegato nel dolore della perdita della moglie, coriaceo e imprevedibile poliziotto che risolve il caso. Come sempre perfetti i suoi compagni di brigata. Una conferma.
Bello
le piste aumentano, le trame pure. E non è finita. Giallo da leggere tutto d'un fiato
Recensioni
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Si immerge per poi riemergere dalla pozza ghiacciata della sua confusione il personaggio di Rocco Schiavone, che con questa nuova e implacabile indagine torna a occuparsi dei vizi della seppur esigua popolazione di Aosta. Il vicequestore ritorna con la seconda parte dell’inchiesta ambientata al casinò di Saint Vincent, iniziata nel romanzo Fate il vostro gioco pubblicato alla fine del 2018, mentre aumenta la nitidezza dei contorni che delineano il suo personaggio. Antonio Manzini ci mostra ancora una volta il carattere di un personaggio in evoluzione. Sono passati due anni da quando Schiavone è arrivato ad Aosta (è il secondo inverno che Rocco inzuppa le sue Clarks nella neve bagnata). All’inizio sembrava assente, prostrato dalla perdita di sua moglie Marina, scontroso e sfuggente con i colleghi, distratto, quasi sempre malinconico. Oggi che conosciamo il suo passato e quello che è realmente avvenuto nel 2007, Rocco ci appare più lucido, a tratti anche docile.
È un uomo che si fa leggere molto meglio. Il suo spirito inquieto emerge a tratti, con ritmo sincopato, così come sinusoidale è la linea che segue questa inchiesta.
La trama ruota intorno al casinò di Saint Vincent, un luogo in cui si incrociano gli interessi politici ed economici dei colletti bianchi, ma anche le pulsioni dei delinquenti comuni. Il movente dell’omicidio del vecchio impiegato del casinò è ancora ignoto; nel frattempo sparisce un furgone portavalori con dentro 3 milioni di euro, e viene ritrovato il cadavere di una delle due guardie, forse complice della rapina. Ma quello che sembra un banale colpo milionario, in realtà è l’ennesimo tassello di una lunga storia che Rocco non ha ancora compreso fino in fondo. Lunga e sfiancante per lui, sempre distratto dalle sue incursioni dai vecchi amici di Trastevere, ma questa volta anche per la sua squadra, che mai come ora viene coinvolta direttamente nella soluzione del caso.
Come sempre l’indagine avrà un esito inatteso, confermando l’abilità di Antonio Manzini nella tecnica di scrittura di genere. Ma ovviamente ciò non basta a decretare il successo di uno scrittore. Manzini con questa serie porta il giallo a un livello di complessità superiore: psicologia dei personaggi, denuncia sociale, considerazioni morali, coinvolgimento del lettore. Fuori dai recinti del genere Antonio Manzini aggiunge al racconto gli enzimi per una riflessione più ampia sulla corruzione, sull’uso improprio del potere delle procure, sulla giustizia a orologeria, sul giornalismo strillato, oltre ovviamente al tema della ludopatia e della famiglia disfunzionale.
Un mosaico in cui l’indagine diventa quasi un pretesto, utile a spingere lo sguardo sulla pagina, mentre l’autore suggerisce altri temi, scardina pregiudizi, apre le coscienze. Fa quello che tutti gli scrittori dovrebbero fare.
Recensione di Annalisa Veraldi
In Rien ne va plus di Antonio Manzini ritroviamo gran parte dei personaggi – innocenti, colpevoli o coinvolti a vario titolo – del precedente libro Fate il vostro gioco. A cominciare dal vicequestore Rocco Schiavone, per proseguire con l’inseparabile cucciola Lupa, il giovanissimo vicino di casa Gabriele e la madre Cecilia e la squadra ormai priva della bella Caterina, sul cui destino e reali motivi del tradimento qualcosa si saprà nel corso della storia.
Tutto inizia con la scomparsa di un furgone blindato portavalori, partito dal Casinò di Saint-Vincent secondo i tempi e le modalità previste, con tre milioni di euro a bordo e diretto alla banca Carige di Aosta. E parliamo di una scomparsa letterale, non metaforica! Il furgone infatti sembra svanito nel nulla più assoluto. Il successivo ritrovamento di Enrico Manetti, una delle due guardie giurate della società Assovalue proprietaria del blindato, stordito e mezzo assiderato nel bel mezzo della Valsavaranche, chiarirà solo in parte il mistero. Di sicuro in modo poco soddisfacente per Schiavone il quale si chiede, ora più che mai, se la sparizione del blindato non sia da collegarsi all’omicidio di Romano Favre, ispettore di gioco in pensione del Casinò, caso ufficialmente chiuso con l’arresto del presunto colpevole Arturo Michelini.
E come se gli intrighi del Casinò, il clima impervio di Aosta e i problemi dei vicini Cecilia e Gabriele non bastassero, sulla testa di Schiavone aleggia il peggior fantasma del suo passato: Luigi Baiocchi, l’assassino di sua moglie Marina, l’uomo al quale lo stesso Schiavone ha sparato per vendetta. Il fratello di Baiocchi, Enzo, diventato collaboratore di giustizia, sostiene infatti di sapere dove è sepolto il corpo di Luigi e Schiavone sa bene che, se questo venisse davvero trovato e riesumato, la pallottola lo accuserebbe senza possibilità di errore.
Dividendosi fra Roma, dove gli amici di un tempo Furio e Brizio si sforzano di aiutarlo, e Aosta, dove la squadra si sta facendo in quattro per chiudere il caso del furgone scomparso e capire cosa in realtà si celi dietro quel crimine, Schiavone inizia una corsa a perdifiato contro il tempo nella speranza di non soccombere a un destino che lo vedrebbe dietro le sbarre:
Scappare non è difficile, ritirarsi sì. Una ritirata non ha colore, è solo grigio senza fine, una strada d’asfalto vuota che non porta in nessun luogo. È una sconfitta senza possibilità di ritorno.
Con consumata abilità, Manzini non molla mai la presa sui propri lettori e smorza la tragicità della narrazione principale con una serie di gustosi contrappunti che vedono da un lato l’agente Casella, scapolo e solo, alle prese con una disperata passione per la vicina di casa Eugenia e dall’altro il medico legale Fumagalli coinvolto suo malgrado, o forse no, con la travolgente energia del sostituto Michela Gambino.
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