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Difficile non emozionarsi e non essere toccati dalla storia magistralmente raccontata da Falcones. Un racconto che non manca di dettagli, nozioni storiche e curiosità sulla cultura gitana e sulla Madrid del '700. Il cuore del racconto resta però l'intreccio tra una grande amicizia, che dovrà resistere alle avversità che la vita le metterà davanti e l'amore. L'amore per la famiglia, per le proprie origini, per la persona desiderata, che si scontra inevitabilmente con il desiderio per il denaro ed il potere e l'elevazione all'interno della propria classe sociale. È vero, a tratti il testo rallenta, ma resta sempre la curiosità nel lettore di sapere "e ora cosa succederà? "
Davvero un bel romanzo, piacevole, a tratti commovente. Emozionante e puntualissima la descrizione della vita e della legge gitana, del loro modo di vedere la musica, la cultura, l'onore, l'amore, la famiglia, e pregevole lo studio storico condotto dall'autore, con richiami attinenti e davvero degni di lode.Ho apprezzato molto questo romanzo, e lo stile dell'autore si confà ai miei gusti, dunque credo cercherò di approfondire la sua conoscenza, come anche quella del mondo gitano che tanto mi ha appassionata
Falcones ambienta la propria storia nel 1748, tra le città di Siviglia e Madrid, ed ha ad oggetto le vicende del mondo gitano. Da subito si nota il grandissimo rigore descrittivo dell’autore, perché dalla sua penna possiamo apprendere una notevole quantità di dettagli sul contesto storico così come su quello sociale. E non mancano nemmeno meravigliose descrizioni dei paesaggi tanto da sembrare di poter toccare con mano la terra, la polvere, i fiumi e le piante. Ma l’autore da il meglio di sé nel tratteggiare i personaggi, in primis la giovane Caridad, ora libera ma provata dalla sua condizione di schiava, e Milagros, una giovane gitana sempre pronta ad aderire alla ribellione. Le due donne danno vita ad un’amicizia vera, e solo un editto le allontanerà per poi ritrovarsi ancora più unite a Madrid. Molto ben riuscito è il tentativo dell’autore di fondere gli elementi storici coi buoni sentimenti di cui i personaggi sono portatori, realizzando in questo modo un racconto assai godibile ed appassionante.
Recensioni
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È una bellissima e struggente poesia di Tomás Borrás, Elegia del cantaor ad introdurre, in esergo, questo terzo romanzo dello scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, già forte del successo dei suoi precedenti romanzi, La cattedrale del mare e La mano di Fatima. La poesia è dedicata al flamenco, la tipica danza gitana nata dalla fusione della copla e dei canti degli schiavi e recita: “Essere flamenco è così: è avere carne, cuore, passioni, pelle, istinti e desideri diversi, è un vedere il mondo diverso, con i sensi all’erta, il destino della coscienza, la musica dei nervi, libera fierezza, allegria tra le lacrime, il dolore, la vita e tinto di malinconia l’amore” Anche leggere Falcones è così: è metterci passione, assaporare ogni pagina, darsi, sentire la vita che scorre attraverso le vicende dei suoi personaggi. È immergersi nel racconto e scoprire quello che non ci hanno mai raccontato, la storia di una grandiosa terra, la Spagna, raccontata attraverso la vita degli umili, di coloro che sono stati oppressi e perseguitati.
Leggendo le memorabili vicende del giovane spallone Arnau, figlio di un umile stalliere che contribuisce alla costruzione dell’imponente cattedrale di Santa Maria del Mar a Barcellona, o la vita travagliata di Fatima, la bambina cattolica perseguitata dai musulmani nel 1568, abbiamo vissuto due momenti storici determinanti per la costruzione della società spagnola contemporanea. Con questo nuovo romanzo l’autore aggiunge un altro tassello alla sua narrazione, catapultandoci nella variegata società spagnola del 1748.
Le protagoniste di questo romanzo sono due donne. La prima, Caridad, è una schiava nera affrancata, deportata a Cuba dall’Africa per lavorare nelle piantagioni di tabacco e poi venduta a un ricco latifondista spagnolo che l’ha strappata dal suo bambino per portarla con sé in Spagna. Durante la traversata sulla nave da guerra Reina, don Damián Garcia muore dilaniato dalla peste e Caridad improvvisamente si scopre una donna libera. Arrivata a Cadice, senza una meta e senza nessun amico, avvolge la sua libertà in un fagotto di stracci e ricomincia una nuova esistenza, travolta dall’amore per un uomo incontrato per caso sulla banchina del porto. L’uomo che la trafigge con il suo sguardo severo è Melchior, fiero e ribelle, capostipite di una famiglia di gitani insediati a Siviglia, nel sobborgo di Triana. Qui la comunità gitana da molti secoli si occupa della lavorazione del ferro battuto, è il quartiere dei maniscalchi e dei calderai, qui vive il vecchio Melchior e la sua numerosa famiglia. È nelle sue mani che viene affidata la vita della disperata Caridad, costretta a una nuova schiavitù che la porterà a un passo dalla morte, ma che le farà anche conoscere la donna che cambierà il suo destino, la bella gitana Milagros, nipote di Melchior. Quando la Spagna firma una legge di persecuzione ed espulsione dei gitani dal suo territorio, nel 1749, improvvisamente i ruoli delle due donne si invertono, la schiava sarà libera e la gitana, che da sempre ha solcato i mari e i monti senza una patria, verrà colpita da una persecuzione impietosa.
Sarà il ritmo del flamenco a scandire i loro passi. La passione, la libertà e la malinconia di due vite indimenticabili in un romanzo capace di commuovere e di indignare. La regina scalza è un impetuoso affresco popolato di personaggi che vivono, amano, lottano in un mondo in continuo fermento.
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