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Anno edizione: 2018
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Un libro chiaro, con una prosa scorrevole, adatta anche ai ragazzi. Una sorta di condivisibile manifesto contro il razzismo. L'unica perplessità è stata nell'uso di alcuni termini, che non mi aspettavo di trovare.
Libro semplice e diretto, che andrebbe letto in tutte le scuole e non solo. Super consigliato
Un libro interessante dal quale imparare e su cui riflettere.
Recensioni
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La domanda che apre il libro è "Dimmi, babbo, cos'è il razzismo?". E tutto il dialogo si dipana intorno a questo tema. L'autore dichiara di avere scritto e riscritto più volte il testo, semplificandolo, adeguandolo alle capacità di comprensione di un ragazzino, il tutto per ottenere il risultato prefissatosi: far maturare la coscienza dei bambini e dei ragazzi impedendo l'evolversi di tensioni negative di tipo egoistico e meschino. Il razzismo infatti per Ben Jelloun nasce da un'educazione sbagliata, da una società che crea paura e rifiuto per il diverso, è segno di complessi di superiorità o di inferiorità (in fondo due facce della stessa medaglia), non esiste nel bambino piccolo, cioè non è un istinto naturale. Prima di tutto non esiste "la razza" per quanto riguarda gli uomini, esiste "il genere umano" composto da gruppi diversi e differenti. Le vere differenze fra gli uomini sono quelle socioculturali e così si può dire che "siamo più diversi per via dell'educazione che abbiamo avuto che per i nostri geni". Ogni essere umano è poi assolutamente unico e irripetibile, questo però non vuol dire che è migliore o peggiore di un altro: la differenza non indica qualità. Questa unicità dell'uomo fa sì che non si riesca nemmeno a ipotizzare la clonazione umana: oltre che pericoloso, sarebbe in realtà impossibile riprodurre esperienze, emozioni, sensazioni, la cui somma costruisce l'identità dell'individuo.
Storicamente, in età moderna, il razzismo ha trovato la sua espressione più significativa nel colonialismo. Lo spirito di dominio, la volontà di sfruttare le risorse di un popolo è ciò che ha guidato i paesi colonizzatori, anche se si sono autoproclamati "civilizzatori". Hanno depredato alcuni paesi di beni e di uomini, questo è successo ad esempio in Algeria, e per questo in Francia oggi vivono tanti algerini.
L'arma migliore per combattere il razzismo è la conoscenza, perché è dall'ignoranza che germoglia questo cattivo seme; inoltre è importante capire che è un sentimento che fa parte della natura umana e ci si deve agguerrire per respingerlo. "Si è sempre lo straniero di qualcuno", dice l'autore. Chiunque può essere respinto da un altro perché diverso nel colore della pelle, nelle idee che professa, nel culto religioso che pratica. "Non bisogna mai abbassare la guardia": bisogna stare attenti alle parole che si usano, a certi modi di dire, a certe generalizzazioni, bisogna poi anche agire o non-reagire, a seconda dei casi, comunque essere sempre dotati di autocontrollo perché il razzismo è una malattia contagiosa e pericolosa, forse la più grave per un essere umano.
«Ho avuto l'idea di scrivere questo testo il 22 febbraio 1997 quando sono andato con mia figlia alla manifestazione contro il progetto di legge Debré sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri in Francia. Mia figlia, che ha dieci anni, mi ha fatto molte domande. Voleva sapere perché si manifestava, cosa significavano certi slogan, se potesse servire a qualcosa sfilare per strada protestando, eccetera.
Fu così che si arrivò a parlare di razzismo. Ricordandomi le sue domande e le sue riflessioni, ho scritto queste pagine. Subito dopo le abbiamo rilette insieme. Ho dovuto riscriverle quasi daccapo. Ho dovuto cambiare le espressioni complicate e spiegare i concetti difficili. Una seconda lettura è stata fatta alla presenza di due sue amiche. Le loro reazioni sono state interessantissime. Ne ho tenuto conto nelle versioni che ho redatto dopo.
Questo testo è stato scritto almeno quindici volte. Per bisogno di chiarezza, di semplicità e di obiettività. Vorrei che fosse accessibile a tutti, anche se è soprattutto destinato ai ragazzi tra gli otto e i quattordici anni. Ma potranno leggerlo anche i loro genitori.
Sono partito dal principio che la lotta contro il razzismo comincia con l'educazione. Si possono educare i ragazzi, non gli adulti. È per questa considerazione che quanto ho scritto è stato pensato con una preoccupazione pedagogica.»
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