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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2013
«L'esperienza dello spirito è proprio quella di una luce che tutto pervade, in libero e gioioso movimento in mezzo agli opposti, ovvero al di sopra di essi, signora dell'identico e del diverso, del bene e del male, del particolare e dell'universale.»
Il dibattito tra credenti e non credenti, atei e cristiani, laici e laicisti infiamma tutti i settori della società. Eppure esso si svolge per lo più a un livello di superficie, tanto che si ha l'impressione che i ruoli si confondano: che i veri credenti siano gli atei, che i laici portino avanti ragioni che i chierici dimenticano e che le motivazioni dei laicisti combacino, per una strana alchimia, con quelle dei cattolici più ortodossi. Questi paradossi, come mostra Marco Vannini in questa riflessione, hanno radici profonde e non sono per nulla casuali: consistono nella dimenticanza di una serie di categorie che hanno attraversato la tradizione più alta dell'Occidente, a partire dalla filosofia greca, attraverso i mistici e i filosofi della modernità, sino a personalità come Simone Weil. Che Dio sia Spirito; che la religione sia essenzialmente un rapporto nello Spirito in cui Dio e uomo si muovono l'uno verso l'altro, l'uno nell'altro; che la vera religione sia uno spogliarsi della propria volontà, liberarsi dalla costrizione delle cose del mondo per entrare in una dimensione di libertà, di grazia. Questi concetti si sono via via eclissati a favore di rappresentazioni più comode di Dio e della religione, spesso ridotta a una dottrina morale, a una serie di precetti fisici, addirittura sessuali. E di questo oblio colpevoli non sono tanto i laici o gli atei ma, piuttosto, chi di questa tradizione doveva farsi depositario e custode: la Chiesa.
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A mio parere, Vannini - Eckhart, sposta via via la Divinità verso terra, tarpa le ali a Dio mentre da lezioni di volo all’uomo: quello filosofico di Platone. Nella speculazione di Vannini la dimensione filosofica si fa, mano a mano, teologia e trasforma l'uomo nel dio di se stesso. L'autore rischia di psichizzare eccessivamente la dimensione mistica portandola su un piano pseudo-psicanalitico. Il mistico, nel tentativo di conoscere se stesso attraverso il distacco, da se stesso, dovrebbe incontrare la propria essenza divina ma pur sempre di se stesso si tratta. Intravedo una filosofia parmenidiana a circuito chiuso priva di altrove trascendente e divenire. Il ricorso all'appoggio delle antiche filosofie orientali, che solo filosofie sono, pur di smentire giudaismo e cristianesimo, portano ad una sorta di sincretismo ombreggiato di new age. Negare la religione, qualunque essa sia, significa disconoscere la perenne umana percezione di un referente superiore ed eterno e che, per quanto ci abbia creati a sua immagine e somiglianza, è pur sempre altro da noi.
Una certa monotona ripetitività argomentativa caratterizza un po' tutti i libri del Vannini, ma soprattutto, il vero filo conduttore è il solito disprezzo per l'ebraismo, il quale, secondo il Nostro, sarebbe addirittura privo di autentica spiritualità! Arbitrariamente, Vannini racchiude la "vera" spiritualità soltanto nell'area greca, scendendo fino ad Eckhart,l'autentico paradigma _secondo Vannini_ arrivando ad accomunare persino Hegel e Nietzsche! Cioè l'antiteticità per eccellenza! Come stupirsi o come non rilevare allora le contraddittorietà dei presupposti filosofico-mistici del vannini? "Tutto è buono", secondo V. e secondo Eraclito, per lo Spirito; tutto, tranne l'ego. Se dal punto di vista dello Spirito tutto è bene e buono, che senso ha allora stigmatizzare l'ego o la religione come fattori nocivi? Il "Tutto-bene" propugnato dal V. non è poi così bene, dal momento che estromette l'ego proprio in quanto "male", cioè fattore separativo, ed estromettendolo, quel Tutto non è un vero Tutto ma solo una parte la quale, alienando da sé l'ego, si condanna a restare UNA PARTE. Vannini annichila il particolare nell'universale, ritenendo che questa sia vera spiritualità, particolare il quale, una volta ridotto a nulla, consente di esso qualsiasi trattamento: infatti, se l'ego non ha autentica dignità ontologica, perché allora non abusarne o sterminarne un certo numero? Che male c'è ad eliminare ciò che è stato battezzato come nulla o come male e che quindi è di per sé destinato prima o poi a scomparire? Matrice ontologica dello Stato Etico hegeliano nel quale la parte è subordinata al Tutto, il quale solo avrebbe dignità ontologica, la "spiritualità" propugnata dal V. ha troppo in comune coi grandi totalitarismi che sacrificavano le parti non conformi agli universali della razza, del partito, dell'ideologia.Il costante aspro livore del Nostro nei confronti del Giudaismo confermano che per lui nel Tutto non tutto è bene e buono, contraddicendo così i suoi stessi postulati filosofici e pertando squalificandoli.
Nobile ed inattuale contributo alla ricerca dello spirito in tempi in cui la tribalità, la menzogna e l'idolatria hanno rapito e imprigionato l' "uomo", incapace di un qualsiasi guizzo vitale che lo riporti incontro al vero e unico sapere, quello trasmessoci dal mondo greco. Una visione radicale della filosofia e dunque del cristianesimo, l'unica possibile, ricca di sublimi citazioni. Da meditare e ancora meditare.
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