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Anno edizione: 2017
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Una raccolta da assoporare. Un Autore troppo poco conosciuto, tra i grandi del Novecento italiano. Limpido, terso, a cui affidarsi. Diretto e malinconico, sempre vero. Scarabicchi, con un linguaggio che modula dal semplice al complesso, regala parole ispirate. Da leggere anche le sue pubblicazioni con la Donzelli.
Il bianco (inteso come candore, pulizia, sospensione neutra), è un non-colore che ricorre non solo nel titolo del volume, ma in tutto il corpo del testo. La stessa chiarità che anima i ricorrenti lucori, le albe, le luci domestiche e notturne, le nebbie soffuse e le nevi. Nessun altro colore, in questi versi, se non un «innocente azzurro», un pallido verde, un grigio. Una discrezione che viene ribadita dalla scelta degli aggettivi, mai imperiosi, e invece appena suggeriti: muto, spento, povero, lontano, calmo, vago, solitario, tranquillo, paziente, leggero, sospeso, vano, segreto, sommesso, … molti dei quali più volte ripetuti, a sottolineare una modalità di tono volutamente dimesso, mai prevaricante. E così avviene anche per i titoli che scandiscono le varie sezioni: Ombre, Soglia, Bisbigli, La sosta, Le serre silenziose, e i sette Preludi, che sembrano indicare un avvicinamento, un presagio, un suggerimento più che una reale entrata, presa di possesso, irruzione nella concretezza del reale. Scarabicchi osserva il mondo e se stesso da una sorta di impalpabile estraneità, quasi in punta di piedi e sempre sottovoce, aborrendo qualsiasi veemenza o imposizione, «lasciando intatti / il garbo e la misura». Non solo il paesaggio, con le sue stagioni e i suoi panorami, sfuma in un’indistinta lontananza, timorosa dell’appropriazione sopraffattrice; anche le figure umane, persino le più amate (la donna che «guarda senza colpe», il caro amico e maestro Franco Scataglini), sono tratteggiate con un pudore timoroso di offesa, in cui il non detto, il sottinteso, assume una pregnanza e un valore più evidente delle parole stesse. L’evidenza va oscurata, nel prediligere sempre la discrezione dell’ombra; e “ombra”, appunto, in tutte le sue declinazioni, è sostantivo privilegiato, rispetto all’invadenza della luminosità. Un’ombra che diventa metafora dello sguardo socchiuso con cui il poeta si pone davanti alla brillantezza, troppo esibita e aggressiva, della realtà.
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