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Finalista al Premio Letterario Nazionale “I Sassi” di Matera 2019
Una toccante e intensa saga familiare sullo sfondo di una Lisbona luminosa e conturbante. Attraverso la storia di tre fratelli in cerca di sé stessi e del proprio passato, Romana Petri si conferma scrupolosa indagatrice dei sentimenti e dei legami familiari.
«Pranzi di famiglia entra nella tradizione dei romanzi che si aprono con la morte del patriarca e raccontano cosa accade quando una colonna cade giù smettendo di sorreggere quello che c'era da sorreggere e di nascondere quello che c'era da nascondere» - Nadia Terranova, Robinson
A fine novembre, con il cielo di Lisbona carico di pioggia, Vasco Dos Santos chiude la sua galleria in Travessa dos Fieis de Deus sempre più tardi. Non ha alcuna voglia di tornare a casa da sua sorella Rita, divenuta ormai intrattabile. Nata deforme e, grazie al coraggio e alla tenacia della madre Maria do Ceu, «ricostruita» attraverso una lunga e dolorosa serie di operazioni, Rita è ormai costantemente in preda all'ira. La morte di sua madre, dell'unica persona capace di preservare l'armonia familiare, ha inasprito oltre ogni misura i suoi rapporti non soltanto con Vasco, ma anche con la sorella Joana, la cui bellezza è così abbagliante da risultare dolorosa, e con il padre Tiago, che anni prima, per sfuggire alla tragedia della figlia, ha abbandonato la famiglia e si è legato a Marta, una donna rancorosa che lo spinge a recidere ogni legame con il suo passato. Tuttavia, da uomo pragmatico quale è, Tiago ha trovato un modo per mantenere un, seppur fragile, contatto con i figli: la domenica, ogni domenica della sua vita, la dedica al pranzo con loro. Una cosa frettolosa, niente di troppo familiare. Un flebile omaggio alla volontà di Maria do Ceu di tenere uniti i figli. È in uno di questi pranzi che i tre fratelli si ritrovano a condividere una scoperta sorprendente: nessuno di loro conserva ricordi del passato. Perché hanno rimosso tutto? La loro vita è stata infelice al punto da volerla dimenticare quasi completamente? Spetterà a Rita ricostruire la storia della famiglia attraverso i documenti ufficiali emersi dagli archivi di Stato, scoprendo una realtà ben diversa da quella che Maria do Ceu aveva raccontato. Nel frattempo, a turbare ulteriormente gli «squilibri» di questa complicata famiglia portoghese sarà l'arrivo di Luciana Albertini, un'eccentrica, visionaria pittrice italiana che farà breccia nel cuore di Vasco.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Secondo capitolo della saga familiare portoghese. Romanzo struggente, coinvolgente. Si conferma lettura da non perdere.
Bellissimo libro
Dopo "ovunque io sia" anche questo libro è molto intenso e coinvolgente.........
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Dopo una breve parentesi, Romana Petri torna nel luogo del delitto, per occuparsi di famiglia, staccandosi, però, decisamente dall’ambiente domestico del suo Le serenate del ciclone, con il quale vinse, nel 2016, il Premio letterario internazionale Mondello. Il luogo del delitto, dicevo, perché Pranzi di famiglia (414 pagine, 18 euro), pubblicato da Neri Pozza, è ambientato ancora una volta a Lisbona, con la figura di Maria do Ceu – una delle tre fulgide protagoniste del suo Ovunque io sia, uscito nel 2008 per i tipi di Cavallo di ferro e, poi, nel 2012 con Beat – o, per essere più esatti, con la sua memoria, a fare da filo conduttore in tutta la storia.
Maria do Ceu è, dunque, morta, lasciando tre figli, ormai adulti, sui quali incombe, ferale, la decisione non sindacabile di Tiago, padre neo potente e neo ricco che da tempo ha una nuova moglie (con suocera annessa), di dedicare «quando il lavoro gliel’avesse permesso […] la domenica, ogni domenica della sua vita, al pranzo con i suoi tre figli».
Dietro questo proposito, portato avanti a denti stretti e mal digerito da tutti, c’è il tentativo ormai scolorito di mantenere almeno uno straccio di contatto con i figli e di rendere, a modo suo, omaggio alla prima moglie; l’unica, a quanto pare, in grado di capire in tempo utile quanto importante fosse l’unità della famiglia ed a soffrire, sempre in solido con un silenzio interminabile, per le sorti della sua.
Peccato che nel frattempo tutto sia cambiato: una ricchezza nuova e puntualmente ostentata ha reso Tiago e relativa signora «di una volgarità imbarazzante», retta da una «euforia che non li aveva più abbandonati» e che li mantiene ben lontani dalla quotidianità e dagli inciampi della gente comune; né si può dire che le cose vadano meglio nell’altra parte del campo di un match interminabile e quasi sempre all’ultimo sangue.
È qui, infatti, che rammarichi vecchi e nuovi, antipatie a stento represse e rancori ormai consolidati riescono, ogni santa domenica, a mettere attorno ad un tavolo tre figli che a stento si parlano e che non di rado si affrontano apertamente, non risparmiando, ovviamente, nemmeno il padre. Proprio un bel vedere, rispetto al quale «Bergman (il regista) è un dilettante dell’incomunicabilità».
Ricordi sfaldati di un passato da ricostruire
Eppure, tra dialoghi mancati e puntuali ripicche, è proprio tra un forzato convivio e l’altro che i tre fratelli si accorgono, non senza sorpresa, di avere, della loro vita, solo un insieme mal disposto di ricordi sfaldati e mai compresi del tutto; un passato poco chiaro, dal quale Marta, la nuova moglie di Tiago, sembra «votata ad allontanarlo» e che, invece, Rita – la figlia deforme alla quale Maria do Ceu dedicò tutta la propria esistenza – si prende carico di esplorare, riuscendo a rimettere insieme i cocci della storia di «una famiglia avvolta nella nebbia». Così, il ricordo della madre, oltre a lenire (o forse, amplificare?) gli effetti di una cruda, talvolta insopportabile, attualità, sarà in grado di aiutare i tre a «sciogliere tutto il loro incomprensibile passato».
In Pranzi di famiglia Romana Petri si addentra nei meandri bui ed apparentemente senza uscita di una famiglia davvero complicata, fornendo, anche con questo suo ultimo lavoro, una lettura attenta e profonda dei sentimenti. Lo fa, bene, perché, se da un lato, con la sua analisi scrupolosa non fa sconti a nessuno, dall’altro non sembra avere alcuna intenzione di fornire, in modo evidente, la vera chiave di lettura di tutta la vicenda. Con la sua scrittura elegante e meditata, ma al tempo stesso puntuale ed efficace, sembra, infatti, che l’autrice si diverta proprio a lasciare questo importante compito al lettore, magari aiutato (pensa un po’) da un’eccentrica, visionaria, pittrice italiana, i cui quadri rappresentano «una visione grottesca della solitudine e del silenzio, un’interpretazione comica della tragedia». Eh sì, a pensarci bene…
Recensione di Camillo Scaduto
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