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Anno edizione: 2018
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È un romanzo questo da leggere chiusi in una stanza, con la sola compagnia di se stessi. È un romanzo questo che ti fa fare su e giù con la testa, perché non puoi non annuire alle verità che dice. Alle scomode, verità che dice. È un romanzo questo destinato a chi per paura di perdere non prende. Tra le due parole, perso e preso, c'è una differenza tanto lieve di suono quanto è ampia di significato. Nel mezzo ci sono vite passate senza essere vissute. È un romanzo questo destinato a chi non è leggero, a chi non conosce l'assenza di disagio ma tutt'altro, ci deve fare i conti di continuo. E' una storia questa di certo non dinamica ma intima, che ti fa riflettere, ti mette a nudo. Con una prosa pulita ma intensa, Valentina Farinaccio ci porta nella vita di Arturo, che è un po' anche la nostra, in un percorso sofferto di crescita. “Arturo era un divano rimasto con la plastica addosso, messo in quelle stanze in cui non si entra per paura di sporcare, e di rovinare. Che certe vite, poi, invecchiano così: senza mai essere state usate”. Di questa autrice ho già letto l'opera prima “La strada del ritorno è sempre più corta”, che pure mi piacque tantissimo e che vi consiglio ugualmente. La Farinaccio va tenuta d’occhio! Parola di #booklover 😉
Il primo romanzo (“La strada del ritorno è sempre più corta”) mi era piaciuto molto, lo avevo trovato originale e fresco, sia nella trama che nel linguaggio. Questo invece, ad eccezione di alcuni passi che mi hanno colpita positivamente e mi hanno fatto riconoscere la scrittrice che ricordavo dal precedente, dal punto di vista dello stile, mi è sembrato un po’ troppo carico: di frasi a effetto “cercate” e non spontanee, di ritmo sincopato. Fino a un certo punto ciò può apparire funzionale a un romanzo che si snoda a capitoli alternati, molto brevi, tra un passato recente che ci racconta il fatto scatenante del blocco che ha colpito il protagonista e un presente che lo vede nel tentativo di ricostruire e superare il tutto. Ma il limite che secondo il mio personalissimo gusto sarebbe stato adeguato è stato superato più volte. Ho percepito questa sensazione, senza riuscire a darle un nome, per tutto l’arco della lettura; quando poi alla fine ho letto i ringraziamenti ho capito: la sua prosa si è troppo “gamberalizzata”. E già trovo che spesso la Gamberale esageri….. figuriamoci cosa penso di chi sembra volerla imitare ! Molto belli alcuni quadretti su personaggi minori, se non pure e semplici comparse, di cui la scrittrice, servendosi del tramite dei pensieri del protagonista, ricostruisce vita e abitudini con poche e dense osservazioni (come quello della signora con il carrellino della spesa). Mi è piaciuto pure l’explicit. Ma ritengo che sarebbe sempre meglio non abusare di frasi che colpiscono solo in prima o seconda battuta, mentre dalla terza in poi finiscono solo per appesantire e per dare l’idea di un vuoto che non si è stati capaci di riempire altrimenti. Un esempio ? Eccolo: “Chi gli resisteva accanto sperava che a un certo punto, poi. E in effetti a un certo punto, poi."
Normalmente si dice 'divorato', io posso dire 'letto tutto d'un fiato', quasi in apnea, per non perdere il filo dei discorsi di e su Arturo, per accompagnarlo nel suo viaggio alla ricerca del perché di tutto, anche per vedere come va a finire... Per poi scoprire che la fine può essere un inizio con '... le gambe flaccide di paura. Ed è una paura bella..'. Davvero un bel libro, scritto con la prosa incalzante dei pensieri, dei dubbi, delle elucubrazioni, delle paure, del vorrei ma non posso, del potrei ma non voglio del protagonista che per paura di una vita vera si trova a vivere ' una vita fasulla come quella delle formiche inoperose'.
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