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La chiave per capire e apprezzare questo libro è…. prendersi meno sul serio! Si può ridere di tutto, anche della vecchiaia, se viene raccontata con rispetto e ironia e alla fine di questa lettura, dopo aver sorriso con Hendrik e Evert, ti viene voglia di abbracciare tutti quei nonnetti che vivono nelle case di riposo e che hanno ancora tanta voglia di vivere costretta in un corpo che purtroppo non risponde più.
Un dolce protagonista, un signore anziano che ci dimostra come "vecchio" non sia sinonimo di "finito". In questo libro si respira una gran tranquillità, un apprezzamento delle piccole cose quotidiane che ci possono regalare piccole ma costanti dosi di felicità.
Mi ero approcciata a questo libro con qualche riserva perché trovo noiosi i diari. Invece ho dovuto ricredermi. Nonostante sia il racconto degli ultimi anni trascorsi in un ospizio, ha una trama originale e con qualche colpo di scena. A mio parere, da alcune considerazioni dell'autore, si capisce che è egli stesso anziano o comunque una persona molto vicina a persone anziane. Anche se tratta il tema della vecchiaia con ironia ed a volte sarcasmo è costellato anche da momenti di nostalgia e tenerezza. Nel complesso l'ho trovato interessante.
Recensioni
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“Anche quest’anno i vecchi continueranno a non piacermi. Il ciabattare dietro i girelli, l’impazienza fuori luogo, le lagne interminabili, i biscottini con il tè, i sospiri i mugolii. Ho 83 anni e ¼”. Questo è il folgorante incipit di Piccoli esperimenti di felicità dell’olandese Hendrik Groen, un romanzo che nasce a puntate sul sito di Torpedo Magazine e che viene notato dalla casa editrice Meulenhoff prima di diventare un caso editoriale inseguito dai maggiori editori di tutto il mondo e tradotto in ben 20 paesi. A parlare è lo stesso Hendrik dalle pagine del suo diario che raccontano la vita all’interno della casa di riposo in cui si trova per 365 giorni esatti. Le sue giornate sono monotone, tutte uguali: due chiacchiere con l’amico Evert, la curiosità per i nuovi arrivati e la sopportazione della severissima direttrice. Hendrik ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco, ma ora si chiede se davvero ne sia sempre valsa la pena: “Negli ultimi anni i nuovi arrivi negli ospizi consistono principalmente di nonnetti malmessi che non sono più in grado di vivere una vita autonoma. Se ti assegnano codice 3 (mi pare), finisci direttamente nel reparto psichiatrico. Con il codice 2 in molti ospizi ti tocca prima qualche anno di lista d’attesa. E alla fine può darsi che neanche serva più. Le liste si esauriscono da sole. Negli anni Settanta e Ottanta c’erano coppie di neosettantenni, sani e arzilli, che decidevano di godersi la vecchiaia in casa di riposo. Adesso arrivano soprattutto relitti umani, che potrebbero affondare da un momento all’altro”. E allora, siccome nella vita bisogna sempre avere progetti o perlomeno fare esperimenti, Hendrik decide due cose: farsi dare dal suo medico la pillola della dolce morte e concedersi un anno, prima di prenderla, nel quale fondare un club. Nasce così il Club dei vecchi ma mica morti con regole di ammissione rigidissime per partecipare alle varie attività, tra cui: l’ingresso a un casinò, un workshop di cucina, un corso di tai chi… Piccoli esperimenti di felicità è un libro unico nel suo genere, non soltanto perché la voce del protagonista riesce sempre a essere pungente e originale, ma perché ci costringe, seppure con il sorriso sulle labbra, a considerare da una nuova prospettiva l’individuo alla fine del suo ciclo produttivo nella società. Spesso si dice che gli anziani tornino a essere bambini, con i loro capricci, le loro idiosincrasie, le loro fissazioni e convinzioni e magari piuttosto che associare questa – percepita dai più – regressione a principi di senilità, forse bisognerebbe riflettere sulla possibilità che sia semplicemente una condizione più naturale dell’uomo, lontano dalla cattività del merito e del guadagno, dal giudizio e dalla competitività: “Quando sei giovane hai voglia di diventare grande. Da adulto, fino più o meno ai sessant’anni, la cosa che desideri maggiormente è rimanere giovane. Quando sei vecchio non c’è più un obiettivo a cui puntare. Questa è l’essenza del vuoto esistenziale qui da noi. Non ci sono più obiettivi. Niente esami da superare, niente più carriere da portare avanti, niente figli da crescere. Siamo troppo vecchi anche per occuparci dei nipoti. In questo contesto così ricco di ispirazione non è sempre facile prefiggerti piccoli obiettivi. Intorno a me vedo occhi nei quali è rimasta soltanto la rassegnazione. Occhi di persone che passano dal caffè al tè e dal tè al caffè. Forse ho già detto questa cosa. Forse non dovrei lamentarmi in questo modo. Bisogna solo impegnarsi di più perché ogni giorno valga la pena di essere vissuto. O almeno un giorno su due. Servono anche dei giorni di riposo, come al Tour de France”. Essere adolescenti o anziani sono probabilmente le uniche due fasi di vita in cui possiamo essere davvero noi stessi senza l’affanno dell’avere. Ed è proprio così che Hendrik si propone a noi: libero, senza inibizioni, totalmente scevro da qualsiasi condizionamento politicamente corretto, capace di raccontarsi con la necessaria leggerezza e autoironia, consapevole di essere in viaggio verso la luce da più di 84 anni.
Recensione di Roberto Di Pietro
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