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Scritto nel 1973, ma pubblicato due anni dopo, Piazza d’Italia è un romanzo storico che ripercorre le vicende della nostra patria dalla proclamazione dell’unità d’Italia fino al sorgere della Repubblica, e lo fa narrando le altrimenti oscure vite di alcune generazioni di una famiglia proletaria, dapprima anarchica e poi comunista, con i protagonisti dai nomi alquanto evocativi (Quarto, Volturno, Asmara, Garibaldo, solo per citarne alcuni). Questa gente è radicata in un paese immaginario, Borgo, che tuttavia ben rappresentata un’entità rurale toscana, con il suo carico di fame, di miseria e di sfruttamento. L’Italia descritta da Tabucchi in questa sua opera prima non può piacere, perché, al di là delle epoche trattate, è quanto mai attuale, caratterizzata da ingiustizie, da diffusa corruzione, da continui soprusi dei più forti economicamente sui deboli, emblemi di un proletariato sempre alla ricerca di un riscatto che assume poco a poco le caratteristiche di una chimera. E’ il paese del trionfo della retorica, delle parole urlate e delle promesse mai mantenute, dove tutto sembrerebbe cambiare per poi restare sempre uguale, come saggiamente Tomasi di Lampedusa riporta nel suo Gattopardo. In questa effettiva calma piatta guai a chi osa non dico ribellarsi, ma solo protestare, perché la sua emarginazione è immediata, quando anche non si provvede, in un modo o nell’altro, a eliminarlo. E’ del resto il paese in cui gli immeritevoli vengono messi sugli altari e gli eroi, coloro che hanno fatto tanto per la patria sono denigrati; in una nazione dove si riconoscono meriti inesistenti agli incapaci e ai disonesti e in cui vengono isolati gli elementi migliori e più sani il desiderio di giustizia dei personaggi di questo libro sono destinati a essere vanificati, eppure loro non demordono, perché arrendersi equivarrebbe a perdere l’unico bene che il potere insano non può distruggere, la dignità.
Un esordio che contiene già in prospettiva l'intera opera e poetica di Tabucchi. Rovesci narrativi e linguistici, malesseri temporali, scandiscono la vicenda tra le diverse generazioni di personaggi anarchici e antifascisti. Vittime della storia che con Tabucchi rivendicano una propria voce.
Piazza d'Italia può essere definito un romanzo familiare, anche se del tutto particolare. Ci racconta infatti la storia di una famiglia di Borgo, un non meglio identificato paesino toscano, sul piazza del quale vediamo succedersi i monumenti che mostrano il passaggio della Storia del paese (la statua del granduca di Toscana viene abbattuta per fare posto ad un monumento di Garibaldi e del re, che a sua volta cede il posto a Mussolini, e così via). La nostra percezione della storia è filtrata attraverso gli occhi dei personaggi e, in particolare, l'autore ci mostra quale sia l'effetto dei grandi eventi storici sulla gente comune; tuttavia, i nostri protagonisti non sono passivi, non sono vittime della storia, ma vi prendono parte attivamente, vi partecipano seguendo i propri ideali. Il romanzo è volutamente frammentario: diviso in più parti, è composto da capitoli molto brevi, ognuno dei quali ci mostra un evento specifico, un piccolo tassello che prende di significato se accostato a tutti gli altri. Per questo motivo, soprattutto all'inizio, il lettore rimane spaesato e incapace di distinguere i personaggi l'uno dall'altro (complice anche il fatto che diversi membri della famiglia si chiamino Garibaldo), ma andando avanti nella lettura, e tornando talvolta indietro per recuperare indizi che erano passati inosservati, riesce ad orientarsi. La narrazione ha un andamento favolistico, al quale contribuiscono anche gli elementi magici e a tratti visionari presenti nel racconto, per lo più incarnati nella figura della Zelmira, una sorta di maga, veggente e guaritrice del paese. L'ironia di Tabucchi e gli inserti di toscano parlato rendono la narrazione vivida e piacevolissima.
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