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Anno edizione: 2012
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"Quandoque bonus dormitat Homerus". Ovvero, "Ogni tanto anche il grande Omero sonnecchia". Come a dire che anche ai più grandi capita talvolta di non riuscire a dare il massimo. Ed è questo il giudizio assegnato di norma ai "Pensieri" di Leopardi, opera nata forse sotto una cattiva stella, abbozzata dal poeta di Recanati negli anni del suo soggiorno napoletano, rivista dall'amico Antonio Ranieri e pubblicata postuma nel 1845. Di questo libretto, che raccoglie in poche decine di pagine un centinaio di pensieri di varia estensione, ma per lo più brevi, sull'uomo e sulla società, spesso ripresi dal più celebre "Zibaldone", colpisce soprattutto una caratteristica, di per sé non assente in altre opere dell'Autore, ma qui più invasiva, ovvero una sorta di oscillazione continua tra due diversi atteggiamenti nei confronti della materia trattata: da un lato il desiderio di risultare freddo, distaccato e quasi scientifico nell'analisi dei caratteri umani e delle dinamiche della vita associata, dall'altro il cedere di frequente a una evidente irritazione e delusione nei riguardi delle ingiustizie e delle delusioni patite, come, ad esempio, nel caso di non pochi pensieri marcatamente misogini. L'impressione generale è dunque quella di un tentativo non particolarmente riuscito di sintetizzare in poche pagine un'opera quale lo "Zibaldone", che ha al contrario proprio nel suo carattere magmatico, analitico e occasionale un punto di forza. Ma stiamo pur sempre parlando di Leopardi, e quindi non mancano pagine di grande efficacia, a mio avviso soprattutto nei pensieri dedicati all'educazione e in quelli più brevi e di carattere aforistico. "L'educazione che ricevono, specialmente in Italia quelli che sono educati (...) è un formale tradimento ordinato dalla debolezza contro la forza, dalla vecchiezza contro la gioventù. (...) Frutto di tale cultura malefica (...) si è (...) che i giovani (...) si fanno ribelli agli educatori". (104) "La noia (...) il più sublime dei sentimenti" (68)
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