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La bella prefazione di Antonio Preti costituisce una ottima sintesi dell'opera, ricordando il contesto degli studi su Leopardi negli anni Settanta, nelle insistenze (schermo ideologico?) tra materialismo e pessimismo, nel rapporto tra biografia (malattia, per qualcuno deformità fisica) e pensiero. L’appello del noto passo della Ginestra alla solidarietà di tutti gli uomini nella lotta (che rimane disperata per gli obiettivi di fondo p.69) contro la natura. Benedetto Croce che stronca il pessimismo leopardiano con argomenti positivistici (lombrosiani), empiriocriticisti e pragmatisti; l’esistenzialista Cesare Luporini ne fa addirittura un “precursore del marxismo”; Salvatorelli e Carducci lo accostano al socialismo; Treves ripresenta l’immagine crociana di L. “monaldesco”; W.Binni osserva la forza dell’illuminismo per Leopardi; Tilgher esalta la distinzione leopardiana tra “stato di natura” e “barbarie”, altri si soffermano sull’atteggiamento alfierano (titanico) di L. contro la divinità e il fato. “La propria infelicità individuale è considerata, almeno prevalentemente, dal L. come un caso-limite dell’infelicità della società italiana del suo tempo, condannata all’inattività e alla noia (..) fisicamente decaduta per colpa di un’educazione ascetica che tende a comprimere ogni impulso vitale”. Così “per un pensatore così profondamente antiteoricista, antimetafisico (..) l’infelicità non si supera ‘dialettizzandola’ sul piano logico, ma soltanto (ove ciò fosse possibile) eliminandola di fatto. Dopo aver messo in risalto l’incomprensibilità – da punto di vista della logica formale –della contraddizione tra vitalità e infelicità, il L. soggiunge (..): ’Intanto l’infelicità necessaria de’viventi è certa’ (Zibaldone)”p.77. Nella “grande e appassionata esperienza” di Timpanaro l’esegesi, il rapporto ermeneutico con la poesia, esplorando il pensiero dell’epoca, interrogandosi sulla lingua e criticamente rassegnando gli studi su Leopardi.
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