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Il pellegrinaggio in Oriente (1932), il più perfetto dei romanzi brevi di Hesse e quasi lo stemma di tutta la sua opera, racconta un’esperienza unica e inaudita, che ha luogo, non a caso, in quel «periodo torbido, disperato, e tuttavia così fertile che seguì la prima guerra mondiale». Uniti in una misteriosa Lega, le cui regole paradossali e sapienti ripetono – riflesse nello specchio del Bund romantico – quelle di antichi gruppi iniziatici, uomini disparati si mettono in cammino verso una meta che non è un luogo ma una dimensione altra della realtà. Ricercatori del tao e della kundalini, silenziosi aiutanti, il pittore Paul Klee, lo stesso Hermann Hesse, che è il protagonista, e tanti altri personaggi partecipano a questo singolare viaggio che non ha certo inizio con loro ma è un incessante movimento che percorre il tempo da sempre, e in cui tutti i nomi della storia possono comparire quali momentanei compagni. Ma questo è solo il primo dei molti e conturbanti segreti che incontrerà il lettore nei meandri di una favola che insegna un nomadismo radicale da una realtà che ci è imposta verso un’altra, sfuggente, beffarda e piena di tranelli, che però poi si rivelano essere mezzi pedagogici di un violento svezzamento, usati per dissolvere le ultime, tenaci resistenze al viaggio senza ritorno verso Oriente. Non meraviglia – dato questo schema e la felicità con cui è sviluppato – che il piccolo libro sia stato riscoperto ed esaltato in questi ultimi anni da tanti che hanno sentito di soffocare nell’aria in cui erano nati.
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Non fatevi condizionare dall'esiguo numero di pagine, perché dettagli e spunti di riflessione ce ne sono anche troppi. E non fatevi nemmeno suggestionare dal titolo, perché il viaggio in questione è un viaggio più spirituale che fisico, molto onirico, visionario. Una storia introspettiva, un'iniziazione alla vita che alla fine lascia molte domande e poche risposte.
“Il pellegrinaggio in oriente” è un racconto che si presta a diverse interpretazioni. Un pellegrinaggio verso un luogo imprecisato che condensa una dimensione dove, occasionalmente, strada facendo si trovano anche personaggi del passato. Un viaggio al seguito di una misteriosa setta definita Lega dove i personaggi chiave sono lo scrittore narrante e il servo comune di tutti i cavalieri che compongono la spedizione, di nome Leo, personaggio ultimo della compagnia che, misteriosamente, sparisce durante il viaggio e che, 10 anni dopo, l’io narrante scopre essere il capo carismatico della Lega, giudice severo eppure indulgente che al miscredente io narrante, chiamato H.H., il quale nel corso dei 10 anni intercorsi , ha nel frattempo affievolito la sua fede, offre la possibilità di redimersi. La chiave di lettura più ovvia a me sembra quella religiosa cristiana stante che diversi indizi, a partire dal titolo, ivi conducono. Il viaggio verso oriente, infatti, potrebbe rappresentare un avvicinamento verso il luogo di nascita di Cristo, un posto che idealmente riunisce gente nata in secoli diversi; un luogo verso cui ci si muove in tanti contemporaneamente e, occasionalmente, si cerca più intensamente da soli. E, se si immagina che il grande palazzo dove ha luogo la sede della Lega, che contiene un immenso archivio con le schede sintetiche contenente giudizi morali sulle persone, possa rappresentare l’aldilà, capita a fagiolo la trasformazione del personaggio Leo, modesto ma tenace e leale servitore della fede, considerato “ultimo” fra i viventi, che lo si trova a capo, e quindi “primo” fra gli eccelsi della casa.
Sono un appassionato di letteratura di viaggio e sono stato attratto da questo romanzo breve citato da molti autori come il precursore del genere. Purtroppo nel romanzo il viaggio finisce ancor prima di iniziare in quanto il pellegrinaggio in Oriente si rivela una ricerca interiore da parte del protagonista. La narrazione offre comunque diverse chiavi di lettura e diversi spunti: vista la pubblicazione risalente al 1932, suona profetico il passaggio in cui si parla di un 'mondo accecato dal denaro, dal numero e dal tempo' così come la citazione del poeta Novalis: 'Dove mai andiamo? Sempre a casa'.
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