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Anno edizione: 2005
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Messo vicino agli altri volumi della magnifica avventura autobiografica di Canetti questo sembra averne perso tutta la magia mitteleuropea: ma non solo perché, banalmente, è la superba, ipocrita, fredda Inghilterra lo scenario. C'è di più: un grigiore di personaggi, di ambienti e atmosfere che ne fanno un libro triste, stanco, disilluso, intriso di livore per un paese sfigurato dall'egoismo tatcheriano, ultimo baluardo di un impero che non voleva finire di tramontare.
Recensioni
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Nessuno ha mai scritto un'autobiografia barbosa. L'ha detto il grande Leslie Stephen (oggi ricordato quasi esclusivamente per il merito biologico certo non disprezzabile di essere il papà di Virginia Woolf). L'autobiografo se non altro è il massimo esperto dell'argomento che si è assegnato e già solo per questo ci induce all'ascolto. Un'autobiografia ci predisporrà sempre benevolmente nei confronti del suo autore e quando la lasceremo sarà ben difficile che diciamo: Oh finalmente!. Per quanto mal scritta un'autobiografia lascia il suo lettore con la voglia di un seguito con il desiderio di sapere di più. Ma possiamo sapere di più? Quale autobiografo può raccontare tutta la storia arrivare proprio alla fine? Chi racconta la sua vita sa che non potrà andare al di là di un certo punto. Alla narrazione comunque mancherà il racconto dell'evento più definitivo della sua vita: la morte. Un'autobiografia è sempre seguita da un silenzio. Non va così per i romanzi. Chi si aspetta una continuazione di Madame Bovary? O per non citare proprio un romanzo in cui la protagonista muore dei Promessi sposi? Perciò qualunque seguito qualunque nuova parola ci arrivi da quell'inevitabile silenzio autobiografico è un premio quasi divino come se ci visitasse il morto. Proviamo a immaginare quale sarebbe la nostra gioia se all'improvviso ci arrivasse una continuazione della Vie de Henry Brulard la stupenda autobiografia di Stendhal o di quelle altrettanto stupende di Isherwood Christopher and his Kind e di Sartre Les mots. Perché no? La storia della lettura è fatta di speranza. Il lettore con l'innamorato è il più illuso degli esseri e a volte il più fortunato come dimostrano i fatti.
Ai tre volumi dell'autobiografia di Canetti – un'altra delle autobiografie che non vorremmo che finissero mai – si è appena aggiunto un miracoloso pezzettino: il racconto degli anni inglesi con il titolo Party im Blitz (nell'ottima traduzione italiana di Ada Vigliani). Si riparte dal 1938 (il terzo volume Il gioco degli occhi si fermava al 1937). Che inatteso guadagno! Gli scritti giacevano nei cassetti dell'autore – insieme a molte altre cose che non vedranno la luce per molti anni ancora – e certamente non erano destinati a uscire nella forma in cui li leggiamo adesso. Eppure anche in queste pagine provvisorie in queste riflessioni incompiute che Kristian Wachinger ha curato con scrupolo ritroviamo il Canetti migliore. Canetti attese alla composizione del libro inglese nell'ultimo periodo della sua vita. Quando buttò giù il primo appunto (nell'ottobre del 1990) aveva ottantacinque anni. Non è invecchiato per niente; è rimasto l'autore della Lingua salvata.
Il libro parte con un energico attacco all'americano T. S. Eliot. Canetti lo detesta per una ragione fondamentale: è freddo. Non sopporta il suo snobismo la sua tracotanza il suo potere culturale. Eliot secondo Canetti ha assorbito il peggio dell'Inghilterra – l'aridità l'impersonalità. Guai in Inghilterra fare domande costringere l'altro a rivelarsi. Eppure Canetti in Inghilterra ci stava bene. A un certo punto si sentiva perfino inglese – tanto si era integrato. Conosceva tutti. Party sotto le bombe è una galleria di ritratti perfetti (come quelli di John Aubrey che non a caso Canetti ricorda tra i grandi prosatori inglesi dicendo addirittura che le sue Vite brevi avrebbe potuto scriverle lui). Qualche lettore del libro ha avuto da ridire sulla cattiveria dell'autore. è vero – Canetti è impietoso falcia e demolisce con baldanza. Ma chi oserebbe rinfacciare a Piero della Francesca la bruttezza di Federico da Montefeltro? Giudicare una pagina con il criterio della bontà umana è roba da perpetue. Canetti potrà anche sembrare cattivo quando riduce Iris Murdoch (nota scrittrice e sua ex amante) a una donnetta da quattro soldi mangiatrice di uomini (e di donne) e opportunista incallita ma non è così se ancora ci importa capire qualcosa della letteratura.
Canetti non parla delle persone: le costruisce. E le costruisce come nessun altro con lucidità e con pazienza tocco dopo tocco sorprendendoci a ogni frase. è raro trovare uno scrittore che abbia creduto tanto alle sue impressioni e le abbia seguite con tanta fedeltà. Canetti è assolutamente soggettivo idiosincratico perentorio e così vuole essere. In questo sta il suo più grande insegnamento e da lì discende la sua forza espressiva. Nessuna concessione al didascalismo o al commento solo il giudizio. Dietro alla descrizione di tanta gente famosa e no dietro alle riflessioni sulla diversità degli inglesi dietro alle opinioni più diverse il lettore serio sente non la cattiveria o la bontà ma la ricerca di una lingua esatta la volontà di definire i pensieri il culto della buona prosa e dei libri. La civiltà per Canetti è nelle parole. E la gelida Inghilterra con i suoi maestri è lì a provarlo.
Nicola Gardini
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