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Libro leggero, ma divertente e arguto...amo molto il genere investigativo di altri tempi con personaggi famosi che indagano (vedi la Jane Austen di Stephanie Barrron) e la cornice dell'Italia unificata da poco è davvero interessante.
Mi piace quest'autore. I suoi gialli sono leggeri, ma non banali. Piacevoli per trascorrere alcune ore in tranquillità.
Un venerdì di giugno del 1895 l'ingombrante e baffuto Pellegrino Artusi mette piede nel castello di Roccapendente, sito nella Maremma toscana. Letterato e gourmet realmente esistito, Artusi è autore del brioso, colto e celebre primo manuale di cucina. La fama di gran cuoco e letterato (ama Sherlock Holmes!) non è però ben accolta dalla oziosa famiglia del barone Romualdo Bonaiuti né dalla numerosa servitù. Ed ecco che un inaspettato delitto agita la placida routine di questo insolito entourage... "Odore di chiuso" (2011, Sellerio) è il primo romanzo giallo di Marco Malvaldi, di professione chimico, al di fuori di quelli che vedono protagonisti i famosi vecchietti del BarLume. Ambientato in una manciata di giorni di fine Ottocento, è un giallo classico venato di umorismo al punto che la trama ben si presta a una commedia teatrale...
Recensioni
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Nel panorama del giallo italiano, prodigo di vibranti denunce e di amare constatazioni, lo humour è da sempre alquanto latitante (con rare eccezioni, tra cui Andrea Camilleri e Fruttero & Lucentini). I primi quattro romanzi di Malvaldi, incentrati sulle picaresche indagini di un gruppetto di simpatici ottantenni, a stento tenuti a freno da un giovane e perspicace barista, hanno dovuto il loro successo proprio alla leggerezza garbata con cui si inserivano in un filone fortemente minoritario. Ritroviamo la stessa qualità in Odore di chiuso, che imbocca la strada del giallo storico e mette in scena, nel ruolo di coadiuvante dell'investigatore ufficiale, il gastronomo Pellegrino Artusi, ospite in Maremma di una dimora nobiliare dove non tardano a verificarsi eventi delittuosi. Mentre Artusi si aggira con i suoi baffoni bianchi e cerca di carpire alla cuoca la ricetta di un polpettone dagli ingredienti inusuali, un bicchiere di porto avvelenato dà l'avvio a una grottesca sarabanda di crimini. Gli aristocratici proprietari del castello di Roccapendente cercheranno invano di tener lontana dai segreti di famiglia l'indiscreta giustizia del giovane regno d'Italia: un'avventura di Sherlock Holmes fresca di stampa metterà gli inquirenti sulla pista giusta. La scrupolosa esattezza della ricostruzione storica cattura e incanta il lettore; ogni sospetto di kitsch e di nostalgia rétro è però esorcizzato dall'ironia scanzonata della voce narrante e dai piccoli ma significativi anacronismi disseminati con arte. Malvaldi ha dichiarato altrove la sua ammirazione per Giovanni Guareschi e P.G. Wodehouse, invisibili numi tutelari anche di questo racconto; gli appartengono però in proprio il gusto del pastiche,che dà vita al diario godibilissimo dell'Artusi, e la capacità di dosare con sapienza gli ammiccamenti complici al lettore, mutuati, si direbbe, dal Calvino degli ultimi romanzi. Mariolina Bertini
A destare i residenti dal tranquillo riposo estivo nelle stanzone fresche e confortanti del castello di Roccapendente è l’arrivo di Pellegrino Artusi, curioso ospite, intellettuale e cuoco famoso.
Gli occupanti della tenuta, annoiati più del solito perché costretti dalla calura alla quasi immobilità, ne attendono febbrilmente la venuta.
Dei tre figli del barone Romualdo Bonaiuti, quello a cui meno potrebbe interessare l’arrivo dell’Artusi è il signorino Lapo, più attirato dalle grazie femminili che da uomini colti e baffuti: sembianze e portamento eleganti, “l’intelligenza di una fruttiera” e una condotta tutt’altro che decorosa. Con lui l’altro figlio del barone, Gaddo, pronto a riservare al gentile personaggio un’accoglienza per nulla calorosa e un atteggiamento freddo e di sufficienza, nonostante ciò non si addica affatto a un uomo di cultura, poeta dall’animo sensibile. Ben più entusiasta della visita è invece Cecilia, unica figlia del barone, dallo sguardo franco e onesto, la sola sinceramente incuriosita dall’ospite dall’aspetto placido e cordiale. La ragazza è sempre sotto l’occhio vigile della nonna Speranza, la baronessa ormai malata e su una sedia rotelle che trascorre le sue giornate con la sua dama di compagnia, la signorina Barberici, e le due cugine del barone, sorelle “zitelle di razza”.
Ma l’arrivo dell’insolito personaggio presso la tenuta toscana non è che uno degli avvenimenti pronti a sconvolgere la quiete del castello. All’indomani della venuta dell’Artusi, il “barrito” della signorina Barberici annuncia ai residenti un ben più grave e imprevisto evento: la morte del fedele maggiordomo Teodoro. Il ritrovamento del suo corpo nella cantina del castello sarà l’inizio di una sequenza di vicende, il principio di una serie di indagini dai risvolti inattesi. La pista più semplice farà ricadere tutti i sospetti sulla bella cameriera Agatina, ma saranno le riflessioni dell’ultimo arrivato Artusi a condurre le indagini verso la giusta direzione.
Attraverso un ritmo che non è mai troppo “costretto” nel genere, Malvaldi conferma le sue capacità di narratore ironico e scanzonato, in grado di adattare anche al giallo più tradizionale le inflessioni tipiche della commedia. Pur toccando infatti i tasti giusti, e nella sequenza corretta - delitto, mistero, indagini, interrogatori - riesce comunque a conferire al racconto un’intonazione irriverente e spiritosa.
Per nulla seriamente e con un’ironia esplicita e genuina, l’autore delinea un ritratto impietoso che racconta e insieme fa il verso alle “nobili persone”, membri di una casata aristocratica, in un’Italia da poco unificata. Malvaldi presenta al lettore una galleria di personaggi, tutti attentamente e ugualmente indagati e analizzati e, un po’, anche canzonati e derisi.
All’alternarsi di caustici botta e risposta e dialoghi dal tono austero - adeguati a uno scambio di battute tra nobili personaggi ottocenteschi - si aggiungono le “intrusioni” dell’io narrante, che più volte nel corso della narrazione ammicca al lettore con simpatica insolenza. La stessa d’altronde a cui l’autore ci ha finora abituati.
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