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Altro ottimo capitolo di questa saga che non può non soddisfare gli amanti del genere, la trama e gli sviluppi offrono anche vari spunti di riflessione
Nella distopica società nordamericana, c'è una campagna presidenziale e una senatrice caucasica, sopravvissuta 18 anni prima alla "Notte del giudizio", vuol finire con questa tradizione ormai diventata turistica. La accompagnano e proteggono latini ed afro, che sono le vittime abituali di questa celebrazione. È la terza parte della serie. La prima era claustrofobica, la seconda agorafobica e questa sa di Sotto assedio - White House Down. Accompagnano l’azione diverse reminiscenze storiche: un leader conservatore con deviazioni messianiche, un rito di sacrificio ebraico in una chiesa cattolica con un sacedorte dall'aspetto nazionalsocialista. Nella dichiarazione di principi si stabilisce non solo la necessità di "pulire" la società degli indesiderati, ma pure di quelli che non producono: malati e anziani. Sarà davvero il futuro?
Buon film: un misto tra horror e azione, ma soprattutto con contenuti non banali, si percepiscono chiaramente le frecciate contro la politica e società attuale statunitense.
Recensioni
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Rendiamo grazie alle maschere spaventose e al conflitto di classe! Nel corso di due film, il franchise horror-futuristico prodotto da Jason Blum – che ruota intorno un giornata festiva promossa dal governo in cui la legge non è applicata – è passato dall’essere un thriller di fighetti assediati con una premessa interessante all’essere una critica sociale tagliata con l’accetta: quello tra il film originale del 2013 e il super politicizzato seguito del 2014 La notte del giudizio: Anarchy era praticamente un salto quantico. Per questo threequel, il regista James DeMonaco e soci raddoppiano la dose di rabbia populista, buttando nel fuoco un’elezione presidenziale, che vede la senatrice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell), sostenitrice di una decisa riforma anti-purga, contro un burrascoso avatar di Trump. (Per essere precisi, il suo avversario è una specie di Frankenstein composto da pezzi di Mitt Romney, John McCain e vecchie volpi repubblicane).
Nel frattempo, dentro una stanza piena di vecchi uomini bianchi (i famosi Poteri Forti?) viene deciso che la senatrice deve togliere il disturbo. E se questo significa assoldare alcuni mercenari naziskin per eliminare la potenziale Presidente durante la Notte del giudizio (in italiano “Lo Sfogo”, ndr), beh, un’élite amante dello status quo deve avere il coraggio da agire da élite.
Prima ancora delle sirene che segnano l’inizio dei giochi, però, incontriamo gli altri nostri eroi: Joe (Mykelti Williamson di Justified), il proprietario di un alimentari locale che funziona da municipio di quartiere; Laney (Betty Gabriel), una femmina alpha con un passato da fuorilegge, che oggi fa il paramedico; e Marcos (Joseph Julian Soria), un immigrato messicano che si rivela un pistolero infallibile quando inizia tutto il casino. (Quando si dice che gli immigrati sono gente pratica). E poi certo, c’è Frank Grillo – destinato a diventare il Lee Marvin della nostra generazione, se siamo fortunati – che ritorna nei panni di Leo Barnes, il cattivo dei film precedenti diventato responsabile della sicurezza della senatrice. In altre parole, quando c’è bisogno di qualcuno che protegga politici, spezzi braccia, pugnali nel collo, e rimuova a mani nude proiettili dai corpi, lui è il nostro uomo.
Quando un attacco costringe Roan e Leo a scendere in strada, e tutti gli altri buoni del film si uniscono a loro per affrontare le successive 12 ore, Election Year tira fuori dal cappello maniaci in maschere bianche e tocchi barocchi da B-movie – l’auto di un killer coperta di luci di natale, una parentesi con tanto di ghigliottina, una trappola in stile Il pozzo e il pendolo – che sono diventati ormai l’estetica riconoscibile di questa serie.
Quello che Election Year ci propina, soprattutto, è una sorta di “liberi tutti” per incazzarsi contro il sistema. Nonostante la vaga ideologia di sinistra che ne connota il Dna, questa serie è una sorta di test di Rorschach politico: si può guardare agli eroi di questo film come una conferma delle tendenze pro-immigrazione, e vedere nelle squadre di turisti europei dell’assassinio il simbolo della folla xenofoba (“Gli stranieri visitano il nostro paese” annuncia un reporter alla tv “per uccidere!”). E nonostante i protagonisti siano espressamente anti-Notte del giudizio, la storia sembra dare credito a sostenitori dell’interpretazione del Secondo emendamento secondo cui “L’unico modo per affrontare un criminale armato di pistola, è attraverso un uomo onesto armato di pistola”.
La vera moneta del film è un’apolitica furia “noi contro loro”, in cui la base sociale impoverita si prende finalmente la rivincita contro l’odiato 1 percento delle classi agiate. Puoi essere di destra o di sinistra, e trovare ugualmente qui qualche spunto per coccolare la tua incazzatura contro il sistema. La catarsi, invece di avvenire durante una sanguinosa notte di omicidi liberi, avviene dentro a un cinema, e dura due ore. L’unica vera tesi di Election Year è che l’America è tutta questa violenza. Dio la benedica. E ci salvi tutti.
Recensione di David Fear
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