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Amaro e drammatico, grottesco e comico, ironico e appassionato, sempre lucidissimo, Nati due volte racconta il rapporto di un padre con il figlio disabile. Guidandolo attraverso gli scogli della vita, il padre apprende dal giovane l'arte di vivere non per essere «normali», ma per essere solo se stessi. Attorno ai due protagonisti si muove una folla di personaggi che incarnano le diverse reazioni di fronte all'handicap: l'impreparazione e il cinismo, l'imbarazzo e la stupidità, ma anche l'amore sconfinato e la solidarietà altruistica. Perché i bambini disabili «nascono due volte: la prima li vede impreparati al mondo, la seconda è affidata all'amore e all'intelligenza degli altri».
"Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde 'razza umana', non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza."
C'è chi, sfortunato quando nasce, può però avere una seconda occasione di nascita. Se la prima è spesso legata al caso ed è del tutto insondabile (laddove non ci siano responsabilità precise dei medici), la seconda dipende interamente dalla famiglia e dalla realtà che circonda il disabile.
Questa tematica, al centro dell'intenso romanzo di Giuseppe Pontiggia, diventa per ogni lettore un momento di riflessione e un'analisi del proprio rapporto con questo universo così vicino e così distante nello stesso tempo.
L'esperienza umana dello scrittore, il cui figlio è disabile, di certo ha arricchito di emozioni Nato due volte, non perché vi siano trasferiti elementi autobiografici spiccioli, quanto per la capacità di penetrazione nella psicologia del protagonista-narratore, il padre del ragazzo malato, e per la conoscenza di tutti gli ostacoli e le difficoltà, soggettivi e oggettivi, che una famiglia in questa situazione trova davanti a sé.
Il momento della nascita, generalmente un momento di gioia, si trasforma di minuto in minuto in un incubo. Alla leggerezza dei medici, alla superficialità e alla mancata professionalità può essere imputata la tragedia che piomba su un nucleo familiare, già piuttosto in crisi. E il giovane professore, che si ritrova al centro di un uragano di sentimenti, aggiunge ai tormenti oggettivi un profondo senso di colpa: durante la gravidanza della moglie ha avuto un rapporto extraconiugale che forse l'ha distratto, il travaglio stesso che ha preceduto il difficile parto non l'ha visto attento e attivo in modo da arginare la spavalda leggerezza del ginecologo. Così quando sarà chiaro che il bambino sarà portatore di un grave handicap, il padre dedicherà a questa creatura in difficoltà tutte le sue energie morali e intellettuali.
Anche i vari specialisti a cui i genitori di Paolo, è questo il nome del bambino, si rivolgono daranno spesso risposte contraddittorie, e solo uno, tra i tanti, mostrerà umanità nel rapporto e sincerità nella diagnosi, così da non illudere, ma neppure deprimere chi ha la possibilità di far "nascere una seconda volta" il proprio figlio.
Questo vale in modo particolare per chi, pur gravemente disabile nel corpo, ha però un normale (riesce difficile usare questo termine che appare talvolta insensato) quoziente intellettivo. E ogni atto, ogni gesto di autonomia sarà una conquista del bambino e dei suoi genitori, ogni momento di felicità un traguardo raggiunto, ogni contatto col mondo una battaglia vinta.
Particolarmente difficile è l'inserimento nel mondo "istituzionale" di chi ha difficoltà: drammaticamente eloquente è il capitolo dedicato all'ingresso nella scuola elementare, sancito dalla legge, spesso disatteso nei fatti.
Così la laida figura del direttore didattico diventa quasi un "modello" di tutti coloro che cercano di sfruttare le situazioni di debolezza altrui a proprio vantaggio.
Giorno dopo giorno, barriera dopo barriera da superare, il ragazzo arriva alle superiori e, nel romanzo, diventa sempre più il vero protagonista. Ha difficoltà a parlare, così riesce a sintetizzare in poche battute, spesso taglienti, il proprio pensiero. Ha piena consapevolezza della propria situazione, non autocommiserazione, ma l'amara sensazione di essere spesso solo, se non deriso, e di avere comunque come interlocutore privilegiato il padre. Anche i coetanei possono essere crudeli, se lo stesso fratello, di pochi anni maggiore, nutre nei suoi confronti una umana gelosia, in quanto oggetto privilegiato d'amore dell'intera famiglia. Però Paolo non si scoraggia e conquista un ruolo, ottiene rispetto, ha il coraggio di esporsi e, non negando né a sé né agli altri la propria diversità, di vivere una vita sociale. Infatti è più saggio del padre che arriva alla piena accettazione della realtà solo dopo anni di tormento. Così il romanzo riesce a non essere sempre drammatico, spesso anzi è ricco di ironia, quasi divertente: questo è il grande merito dell'autore che, pur trattando un tema così toccante, non cade mai nel patetico e nel commiseratorio. Prevale semmai il tono duro, il dolore chiuso, la rabbia impotente, mai separata però dalla volontà di superare, per quanto è possibile, gli ostacoli, soprattutto quelli che la società frappone tra il critico punto di partenza e gli obiettivi possibili da raggiungere.
Oggi esiste una nuova sensibilità diffusa su questo tema e anche le nuove tecnologie permettono alle famiglie dei disabili di non sentirsi così sole, come il libro denuncia, ad esempio Internet permette di unire voci lontane, comunicare esperienze, e trovare informazioni preziose soprattutto per chi è meno "attrezzato" economicamente e culturalmente
A cura di Wuz.it
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