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Anno edizione: 1995
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Un bel libro, datato ma sempre attuale.
Lungi dal lirismo e dalla visionarietà delle pagine de "La Pelle", anche questo romanzo di Lewis, come quello di Curzio Malaparte, descrive la città di Napoli durante l'occupazione alleata, con un rigore e una durezza degni del miglior film neorealista. Una lettura imprescindibile, anche per meditare sulla bestialità della guerra
'Napoli '44' fornisce una preziosa testimonianza sugli italiani di quel tempo; gli occhi cordiali, rispettosi e oggettivi di uno straniero - come quelli di Goethe in 'Viaggio in Italia' - scevri da paternalismi colgono particolari, stimolano riflessioni sulla nostra natura in condizioni estreme. "Un anno tra gli italiani mi ha convertito a una grande ammirazione per la loro umanità e la loro cultura, tanto che, se mi venisse offerta la possibilità di rinascere e di scegliere dove, la mia terra d'elezione sarebbe l'Italia." Senza il carico della ovvia e intensa compartecipazione emotiva dell'appassionata e sanguigna partenopea Serao de 'Il ventre di Napoli', viene riportato il quadro sobrio ed equilibrato di quella variegata umanità: dagli ambigui informatori e delatori ai collaborazionisti; dai professionisti laureati di facciata nullafacenti, deperiti ma elegantissimi, al popolino lacero e affamato; dall'omertà e cleptomania, alla generosità. Il tutto immerso in una città sospesa fra lo splendore e la catastrofe: "Abbiamo sorseggiato schnapps, mangiato würstel, bevuto vino in bicchieri di forma e colore giusti, qualcuno ha strimpellato un mandolino, e si è parlato di Napoli e delle sue tradizioni - di questa città interamente, instancabilmente dedita alle piacevolezze della vita, e che ha sempre ignorato, e alla fine sconfitto, i suoi conquistatori. Si è parlato di sfuggita di altre guerre, ma non di questa, né di politica, né di Mussolini, né dei razionamenti o delle voci di un'epidemia di tifo." Lo stile di Lewis è lucido e asciutto; spiega e scrive bene.
Recensioni
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Entrato a Napoli nel 1943 con la Quinta Armata, il giovane ufficiale inglese Norman Lewis si trovò stupefatto al centro della città delle signorine e degli sciuscià, scena mobile della prostituzione universale, oltre che di un'arte consumata dell'inventarsi la vita dal nulla. Come non bastasse, fu subito adibito a funzioni di polizia, quindi costretto a constatare ogni giorno le turbolenze, i fantasiosi maneggi e gli imbrogli che si celavano tra vicoli e marina. E capì subito che, di quanto gli accadeva, era il caso di prendere nota. Così, facendo della sua qualità principale, il saper «entrare e uscire da una stanza senza che nessuno se ne accorga», un fatto di stile, Lewis si aggira in una Napoli trasformata dalla guerra in un immenso, miserabile mercato nero e registra tutto sui suoi taccuini. Mentre i colleghi si dedicano alla maldestra realizzazione di piani fantasiosi, come quello di far passare le linee a un gruppo di prostitute sifilitiche per diffondere l'epidemia nel Nord occupato, lui indaga su figure e avvenimenti che gli paiono, al momento, del tutto normali: signore in cappello piumato che mungono capre fra le macerie, statue di santi preposti da una folla in deliquio a fermare l'eruzione del Vesuvio, professionisti in miseria che sopravvivono impersonando ai funerali un aristocratico e imprescindibile «zio di Roma», ginecologi deformi specializzati nel restauro della verginità, nunzi apostolici che contrabbandano pneumatici rubati, e cosi via. I taccuini che Lewis tenne in quel periodo finirono poi per costituire questo libro, di cui il minimo che si può dire è che mai un occhio tanto sobrio e preciso si era posato su una realtà così naturalmente folle e sgangherata. E questo ne fa «un'esperienza unica per il lettore così come deve essere stata un'esperienza unica per chi lo ha scritto» (Graham Greene).
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