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Del perché a uno scrittore come Hans Tuzzi sia venuto l'uzzolo di interessarsi a un leggendario banchiere americano risulta da uno speciale diporto del magnate: il collezionismo di rarissimi libri, essendo l'autore un noto bibliofilo. E' un diario a due voci degli ultimi giorni di vita di JPM. Ai capitoli vergati da un immaginario segretario si alternano le pagine in cui l'illustre morente ricorda nelle nebbie di inquieti dormiveglia gli appuntamenti fatali con la sua anima e con la sua vita pubblica. Chi resta (il segretario) misura il tempo esteriore secondo la discontinuità delle ore e dei giorni; chi sta per lasciare la storia (JPM) si volge al proprio mondo interiore e ripercorre il tempo secondo l'inestricabile continuità della memoria. Felice invenzione narrativa, questo 'paso doble' dà al lettore il sentimento della diversità esistenziale delle due figure narranti: l'una è il testimone della morte altrui; l'altra è quella che sta vivendo in proprio la tragica esperienza della morte. Si direbbe che uno scrittore (anche) di gialli non poteva non fare i conti ancora una volta "col morto", seppure spentosi in questo caso nel proprio letto per cause naturali. Più o meno intenzionalmente, Tuzzi ha ibridato l'invenzione romanzesca con il 'redde rationem' di ogni giallo, che qui non sembra avere una soluzione. O forse sì, in quell'ultimo breve intenso capitolo finale del libro, "L'ultima aurora del mondo", che sconfina nella poesia e offre il possibile conforto di una "giustizia", oltre la fatidica soglia. In cosa consiste questa riparazione, lo vedrà il lettore. Di Hans Tuzzi si può dire quello che i suoi stessi libri dicono da tempo: a dispetto delle mezze stagioni di una volta, che non ci sono più, la letteratura invece sopravvive, e la si ritrova anche in queste pagine di quieta bellezza, da annoverare nel compendio della ricerca inesausta e infinita del senso nascosto del vivere. Un libro da riporre con fiducia nell'immensa biblioteca di questa "indagine".
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